Fiamma Nirenstein Blog

Cancellare Israele dalla carta geografica

giovedì 1 giugno 2006 Diario di Shalom 1 commento

Il desiderio espresso da molti Paesi arabi, anche con il sostegno di qualche europeo

Nelle settimane scorse si è parlato molto di come riavviare un qualche processo di pace con i palestinesi; questo, specie dopo la visita di Ehud Olmert negli USA, in cui il Primo Ministro israeliano ha promesso a George Bush di tentare con tutte le sue forze di nuovo la via della Road map e quindi del bilateralismo prima di scegliere lo sgombero unilaterale per delineare i confini di Israele.

Dipenderà molto, si dice, dalla possibilità di considerare Abu Mazen, il Presidente palestinese, un partner, passando così sopra la testa del governo di Hamas eletto in dicembre, governo che rifiuta il riconoscimento di Israele, intende perseguire la strada del terrorismo, non prende in considerazione la possibilità di attenersi agli accordi stabiliti nel passato. La realtà è che la strada di una strategia di concessioni territoriali, sia con l’accordo che con l’unilateralismo, è illusorio. Innanzitutto Abu Mazen non è la persona adatta per poter sovrastare con le sue armi (dispone di migliaia di uomini armati) e con la sua personalità Ismail Hanje e i suoi: non lo ha voluto fare prima delle elezioni, quando gli veniva richiesto incessantemente dal consesso internazionale; non sceglierà certamente di farlo adesso, per motivi di debolezza ma anche di scelte ideologiche che non si distanziano molto da quelle di Hamas se non per il fervore religioso. Voler vedere il gioco palestinese come un gioco interno in cui può risultare vincitore Abu Mazen e ricondurre i palestinesi a più miti consigli, significa ignorare oggi il contesto internazionale in cui essi consapevolmente si muovono, e ignorare la vera novità di cui essi sono direttamente coinvolti e a cui sono sommamente interessati: l’idea dell’annichilimento totale dello Stato d’Israele.

Ha scritto il premio Pulitzer Charles Krauthammer sul Washington Post: “Gli ebrei... decimati qui, un tempo potevano sopravviverà là; potevano essere perseguitati in Spagna e trovare rifugio a Costantinopoli, potevano essere massacrati nella valle del Reno durante le Crociate o in Ucraina durante la insurrezione di Khnelnytsky del 1648-49 e sopravvivere comunque nel resto di Europa… Hitler ha posto un termine a quella illusione… ha dimostrato che il moderno antisemitismo… può (usare) efficienza industriale, e concentrare gli ebrei per l’annichilimento completo”. E se la fondazione di Israele ha creato autoprotezione e un esercito ebraico per la prima volta dopo 2000 anni tuttavia rappresenta anche “un progetto molto attraente per quelli che vogliono completare il lavoro di Hitler”. Il suo successore adesso risiede a Teheran e dichiara di voler distruggere Israele, ripete questo progetto con dovizia di particolari, spiegando che “questo albero marcio può essere annichilito con una sola tempesta”, ripete ogni momento la sua negazione della Shoà, e accompagna le sue ripetute e ossessive minacce con molti gesti, dai più piccoli ai maggiori: il più importante, naturalmente è il suo progresso quotidiano e sbandierato verso la bomba atomica, le altre iniziative sono del genere di quello della formazione di una “organizzazione di studenti per la distruzione dello stato d’Israele “ e del reclutamento di decine di migliaia di assassini suicidi, a questo scopo e a quello di attaccare l’Occidente.

Non mi addentrerò qui nella descrizione delle politiche di Ahmadinejad: mi limiterò a ricordare che il Presidente iraniano ha precedenti di eliminazione personale dei suoi avversari durante la rivoluzione, che è un fanatico religioso convinto che presto comparirà il Mahdi, la figura profetica che per gli Sciiti porta la redenzione del mondo, e che la perdita di vite umane, anche iraniane, in questo contesto escatologico è assolutamente trascurabile. Il fatto è piuttosto che la minaccia di Ahmadinejad è oggi elemento di grande ispirazione e anche di nuove speranze strategiche per parte dei palestinesi, e per un nuovo schieramento islamista che dà segni di sempre più evidente vitalità, illuminata com’è dallo scopo rinnovato, dopo le tante sconfitte nelle guerre con Israele, di distruggere lo Stato Ebraico, di “spazzarlo via” come dicono gli iraniani e come dice Hamas.

Quando nelle scorse settimane ha avuto luogo l’attacco del Sinai e quasi contemporaneamente in Giordania si è scoperta una cospirazione terroristica di Hamas contro la Giordania, intanto sono stati presentati al pubblico il nastro sonoro di Bin Laden e il video di Al Zarqawi, suo luogotenente, che chiamavano Israele in causa; abbiamo visto Hamas entrare in campo come soggetto principale perchè al potere in un asse strategico inusitato, legato all’Iran (e quindi agli Hezbollah) da una parte e ad al Qaeda dall’altra. Bin Laden annunciò che Hamas era parte dell’armata di liberazione della jihad, e che Al Qaeda può sentirsi a suoi agio, come di fatto sembra apparendo in nuove cellule a Gaza e nell’West Bank, nelle terre islamiche liberate dalla vittoria di Hamas in Palestina. Zarqawi, a sua volta descrisse la strategia della sua organizzazione spiegando che il regime ashemita giordano deve essere distrutto per sgomberare la via di accesso a Gerusalemme.

E’ la terza fase di un’escalation in sette punti. Zarqawi aveva già spiegato che dopo l’attacco agli USA, adesso la guerra di liberazione jihadista richiede la conquista di Giordania e Egitto e la distruzione di Israele. L’attacco di Hamas in Giordania mostra il suo passaggio a un asse islamista generale, in cui lo scontro territoriale con Israele è solo parte.

E’ l’Islam, non solo la conquista della terra d’Israele in gioco. Una svolta storica della formazione di un asse devoto alla distruzione di Israele è stato quella del dicembre scorso, dopo l’attacco di Amman, quando il ministro degli Esteri iraniano Manocher Mottaki ha incontrato i leader degli Hezbollah, di Hamas, della Jihad Islamica e di altre organizzazioni minori a Beirut. Una settimana dopo gli Hezbollah lanciarono un grosso attacco sul nord di Israele, il primo dopo la ritirata dal sud del Libano nel maggio 2000. Subito dopo, l’attacco di Al Qaeda (il primo) dal sud del Libano e l’attacco della Jihad islamica a Netanya. Il 19 di Gennaio fu tenuto da Ahmadinejad a Damasco un altro summit identico al primo mentre nello stesso giorno si compieva l’attacco alla vecchia stazione di Tel Aviv.

In generale, l’asse islamista ha in Hamas un rappresentante che coordina le sue azioni con un fronte di guerra in cui Al Qaeda e gli Hezbollah sono ai due capi della fune, e di cui Ahmadinejad tiene la borsa e anche la palma della primogenitura; anche Hamas, al governo, mentre da una parte compie qualche piroetta ginnica per fare in modo che il flusso del denaro europeo seguiti a fluire, rappresenta una orgogliosa immagine di islamismo al potere, deciso a allargare la Umma dei credenti con l’aiuto di tutto il fronte più ricco e non meno determinato alla distruzione di Israele. Sul fronte strategico classico, i rischi di annichilimento non sono meno gravi: anche se l’esercito israeliano è forte, il suo corpo è compresso in un’area di dimensioni talmente ridotte da neutralizzarne in parte le capacità. Israele non ha profondità strategica, e questo è il suo tallone d’Achille.

Sostiene Yuval Steinitz, l’ex presidente della commissione difesa della Camera, che ci vogliono non più 30 chilometri come ai tempi della Guerra dei Sei Giorni, ma 60 chilometri per azionare propriamente un campo di aviazione, e che Israele non li ha. Egli prevede in caso di guerra convenzionale un risultato opposto a quello della guerra dei Sei Giorni. Steinitz si preoccupa dell’enorme sviluppo dell’esercito egiziano, l’impegno che ne ha fatto una forza gigantesca, ultramoderna e tutta volta sulle linee di difesa e di attacco verso Israele, e sostiene che l’indottrinamento egiziano non differisce in nulla da quello palestinese o di Al Qaeda o iraniano nei confronti degli ebrei in generale e di Israele. L’Egitto, dice Steinitz, è stata la maggior causa di fallimento di Camp David, e se potesse conquistare la leadership del mondo arabo distruggendo Israele, lo farebbe: uno scontro finale con Israele, come sapeva bene Saddam Hussein quando invaso dagli USA sparò nel ‘91 i missili su Israele che non aveva fatto niente, esiste nella coscienza collettiva di tutto il mondo arabo e adesso ha imboccato una strada nuova e molto pericolosa a causa dell’asse estremista islamista.

Tale asse può contare sulla leadership di Ahmadinejad, che dispone già degli Shihab 4 con 2000 chilometri di gittata e su un avvio delle sue centrifughe nucleari che l’Europa non vuole o non sa contrastare. A questi proposito, un elemento molto rischioso per Israele è anche la strisciante, crescente vox populi creata in Italia e nel mondo da volenterosi intellettuali e da politici cinici che porgono un sostanzioso appoggio alle teorie di annichilimento mettendo in discussione Israele alle fondamenta: lo dscrivono come un errore storico, come la macchina di guerra di una lobby rumorosa e intrusiva, come un Paese istituzionalmente aggressivo, frutto di un fraintendendimento epocale nei confronti degli ebrei, che non sarebbero un popolo né tantomeno una nazione. Insomma, un Paese da eliminare dalla carta geografica.

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Carlo Rinaldi , Bologna
 giovedì 15 gennaio 2009  12:40:37

Gentile Signora,mi domando cosa se ne farebbero i palestinesi di una terra tutta per loro, dal momento che non sanno coltivare neanche un orto di cavoli?La ringrazio e La saluto cordialmente,Carlo Rinaldi



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