Boom di clienti da Gerusalemme (i prezzi sono più bassi). L'Ordine: e spulsi i medici che disobbediscono Amman, la guerriglia dei dentisti
martedì 25 aprile 1995 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Ai dentisti giordani non stanno a cuore né
il processo di pace, né il denaro. È quanto si può dedurre da una
presa di posizione ufficiale della loro organizzazione nazionale
firmata dal presidente, Saed Abu Maizer. Si tratta di una
ammonizione, pena l'espulsione dall'Ordine, a non trattare per
qualsivoglia ragione dentature israeliane. Pare che per i dentisti
non ci sia stata alcuna stretta di mano fra Rabin e re Hussein, non
sia stato firmato alcun trattato di pace: per loro la guerra c'è
ancora, e la si fa trattenendola con i denti. La presa di posizione
segue la notizia, apparsa da qualche giorno sui giornali di
Gerusalemme, che raccontava come gli israeliani, una volta scoperto
che un'otturazione costa in Giordania 10 dinari (circa 22 mila lire)
contro i 120 shekel (60 mila lire) che si pagano in Israele, prendono
a centinaia la via degli studi dentistici giordani. Il ministero
della Sanità israeliano ha commentato la novità con una
dichiarazione di prammatica: non possiamo certo sindacare la volontà
dei pazienti israeliani, ma non abbiamo le idee affatto chiare sul
livello di sterilizzazione degli strumenti di lavoro dei dentisti di
Amman, e quindi su quale sia la loro efficacia nel prevenire l'Aids e
l'epatite B. La presa di posizione dei dentisti di Amman è invece
prettamente politica:
posizione dell'agosto scorso, che ammonisce i nostri membri a non
aver niente a che fare né con organizzazioni né con individui di
nazionalità israeliana. Qualunque iscritto alla nostra associazione
violi questa scelta, viene deferito a una commissione disciplinare e
punito con pene fino all'espulsione. Purtroppo la durezza di Abu
Maizer non è frutto di una sua bizzarria personale in tempo di pace,
né di un eventuale cattivo carattere dei dentisti giordani. Sia in
Giordania, che in Egitto, altolà di questo tipo sono stati fatti da
svariate associazioni di professionisti: scrittori, avvocati,
dottori, ingegneri, farmacisti, giornalisti. Il fatto è che,
contrariamente a quello che accadeva nel passato, l'antagonismo nei
confronti della pace si è spostato dai ceti meno abbienti e meno
colti agli strati intellettualizzati, alla gente che ha a che fare
col mondo della comunicazione, dei giornali, delle università , e
anche del denaro. In una parola, alle borghesie locali. Il motivo è
di carattere culturale e ideologico: questi gruppi sociali, dopo il
crollo del panarabismo e del marxismo, sono quelli più legati
all'idea di un'identità araba che salvaguardi il loro Paese, la loro
stessa persona, dal potere egemonico di Israele e dell'Occidente in
generale. Proprio quelli che sono più a contatto col consumismo, con
l'universalismo, proprio quelli che magari hanno studiato all'estero
e che hanno contatti internazionali, ritengono oggi culturalmente e
anche socialmente impresentabile la commistione col processo di pace,
ritenuto portatore di barbarie occidentali rispetto alla cultura
araba, e in definitiva portatore dell'egemonia ebraica. È anche
importante la presa che l'islamismo, persino quello estremo, ha sui
ceti colti: basta ripercorrere con la memoria le vicende italiane
degli Anni Sessanta- Settanta, quando la nostra borghesia partecipava
quasi per intero della grande eccitazione delle rivoluzioni giovanili
e studentesche di sinistra, per capire grosso modo come oggi funzioni
il fenomeno. Questo toglie molte illusioni a chi spera che i
miglioramenti economici siano di per sé portatori di pace: Shimon
Peres dovrà presto ridisegnare il suo anche ad
uso dei dentisti. Fiamma Nirenstein