Fiamma Nirenstein Blog

BETLEMME Spari e odio nei luoghi santi

mercoledì 3 aprile 2002 La Stampa 0 commenti
BETLEMME BETLEMME la Santa è da ieri di nuovo un campo di battaglia. La piazza della Mangiatoia, nella città che avrebbe dovuto diventare la perla del Giubileo, il picco incontrastato di ogni pellegrinaggio (per i pellegrini si erano costruiti alberghi bellissimi, fino sulla soglia della chiesa della Natività ) è invece un deserto senza rumori, senza vita, salvo che per i carri armati israeliani e gli uomini dei Tanzim e di Hamas che si spostano cercando di sfuggire all'assedio. I nostri colleghi giornalisti italiani entrano di mattina nella città col permesso israeliano, si trovano nel fuoco della battaglia proprio sulla piazza, gli israeliani non li vogliono, gli spari arrivano molto vicino. Chiusi i negozi di legno di ulivo intagliato, chiusi i ristoranti e gli alberghi. Via di corsa. Solo il Municipio è parzialmente aperto, e quel Centro per la Pace di buona memoria, finanziato con gli aiuti del defunto accordo di Oslo. E la Chiesa della Natività , dove i giornalisti si rifugiano ignari del fatto che di lì a poco anche un grosso gruppo di armati palestinesi, forse più di cento, deciderà , come si faceva nel Medio Evo, di asserragliarsi nei luoghi della Grotta del bue e dell'asinello. Là comincia la loro avventura, stretti fra l'incudine e il martello: non vogliono l'aiuto israeliano, può succedere il macello, cercano invece il consolato italiano e l'aiuto internazionale; i Tanzim li fanno scendere insieme con le suore e i francescani nelle cucine di Terra Santa. Un'avventura terribile, nel silenzio delle arcate della chiesa rotto da spari sporadici dopo che durante la mattinata a Betlemme gli israeliani avevano cominciato a mettere in atto l'operazione « Muro di difesa» prendendo possesso di alcuni appartamenti che sovrastano la Città Vecchia, frugando nella moschea di fronte alla Chiesa, girando per le stradine che come una casbah circondano il centro. Che fare di chiese e moschee? Il mondo è in allarme, ma alle volte lo scontro si svolge proprio là : anche i palestinesi sanno che Israele ha paura del giudizio del mondo. La città è morta, ma sanno come muoversi nei vicoli gli uomini che gli israeliani cercano: Betlemme nell'ultima Intifada è stata un caposaldo della forza dei Tanzim e anche un caposaldo della Hamas più dura. Da Deheishe, il campo profughi contiguo alla città , sono partiti nell'ultimo mese addirittura tre terroristi suicidi, due ragazzi e una ragazza, giovanissimi. Il capo religioso della moschea di fronte alla Chiesa è un quarantenne magro, pallido, con la barba nera, molto forte teologicamente e politicamente, lo sceicco Abdel Majid: nella sala accanto a quella di preghiera, al primo piano, spesso siede su bassi sofà e su tappeto con la sua gente in attesa della preghiera; sul muro, una cartina della Palestina che comprende anche Israele, tutta intera. Ieri nella moschea sono a un certo punto divampate delle fiamme, prontamente spente. Majid sarà certamente lontano. Gli israeliani sanno che Betlemme ha subito una quantità di cambiamenti nel tempo dell'Intifada, che vi ha sede un importante gruppo di Tanzim e delle Brigate Al Aqsa: gli spari e i colpi di mortaio verso il quartiere di Gilo provenienti dal Beit Jalla, una zona cristiana che non conosceva violenza, sono stati pianificati a Betlemme. Si è sparato soprattutto al mattino, fin dall'alba, quando i carri armati hanno raggiunto la città ; un’ anziana donna palestinese e suo figlio trentacinquenne sono stati uccisi. I carri armati non riescono a entrare nelle stradine, uno che ci prova sfracella un'automobile montandoci sopra. Nel primo pomeriggio si spara anche a Deheishe, il campo profughi dei terroristi suicidi, dove Hamas e i Tanzim sono forti: una miriade di casupole accatastate, una delle più irriducibili fortezze dei profughi del ‘ 48 e dei loro figli e nipoti. Sulle mura perimetrali, che furono aperte ai tempi dell'accordo di Oslo, e ovunque, nei vicoli deserti, sono appesi ai muri i ritratti dei tre terroristi suicidi che ormai sono nel paradiso degli shahid, i martiri cui sempre Arafat si riferisce nei suoi discorsi: ci sono scritte accanto ai ritratti che li chiamano eroi e santi. Le loro facce sono quelle lisce e belle dei ragazzi del nostro tempo. I bambini escono dal campo per gettare sassi contro i carri armati, all'inzio anche uomini armati sono usciti per sparare contro i tank, poi si sono ritirati. Non si osa pensare a che cosa accadrebbe se una battaglia dovesse svolgersi in quei vicoli miserandi e inestricabili dove regna la miseria e regnano capillarmente le organizzazioni di guerriglia. Deheishe, un mondo di miseria e disoccupazione, ha avuto 16 morti dall'inizio dell'Intifada, tutte le famiglie si conoscono una ad una, sono spesso imparentate, i ragazzi vanno a scuola insieme. Mohammed el-Dararmeh, che si è fatto saltare per aria uccidendo dieci persone il 5 di marzo a Meah Shearim, il quartiere religioso di Gerusalemme, era stato reclutato da poco dalle Brigate Al Aqsa, ovvero Al Fatah: tutti lo adorano, tutti vorrebbero emularlo, tutti ricordano come è cambiato quando il suo migliore amico è stato ucciso in uno scontro a un check-point. I bambini che escono a tirare i sassi fanno tremare di pena e di paura: ripetono che Sharon li odia, che Sharon è assetato di sangue palestinese, che esser un martire è bellissimo. I soldati israeliani forse presto frugheranno anche nel campo, come hanno cominciato a fare a Betlemme: andranno casa per casa suscitando paura e odio, troveranno carte che provano i rapporti fra il terrorismo suicida e le strutture ufficiali di Al Fatah, cercheranno uomini che hanno ucciso e che hanno mandato a uccidere, daranno alla popolazione palestinese una sensazione di orribile forza, di oppressione insopportabile. All'ingresso di Betlemme le mogli dei soldati della riserva, uomini di 35, 40 anni, baciano disperate i loro mariti che si avventurano nei Territori. I militari ci rispondono: « Che guerra stupida, i palestinesi avrebbero avuto tutto senza combattere. Certo non ci piace, ma quello che andiamo a fare adesso è indispensabile. Coraggio» . Quando le mogli girano l'auto per tornare a casa, a loro volta tornano verso una società chiusa in casa, assediata dalla paura degli attentati, che seppellisce senza tregua i suoi morti.

 Lascia il tuo commento

Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.