BETLEMME PREVALE L’ ENTUSIASMO PER LA POSSIBILITÀ DI VOLTARE PAGINA l l guerriero è stanco « Ho posato il fucile» Shehadeh ripudia la Jihad e si candida
giovedì 26 gennaio 2006 La Stampa 0 commenti
SEGUE DA PAG 1
Fiamma Nirenstein
inviata a BETLEMME
Ma qui i cristiani sono in continua diminuzione, dal 70 al 30%, e la
campagna elettorale ha mostrato tutti i segni del caos che il mondo teme.
Scontri e spari fra fazioni di Fatah, minacce delle Brigate di Al Aqsa, che
hanno da poco occupato il comune, armate e mascherate. La lista di Hamas è
capitanata dallo sceicco Khaled Tafish, quello che dalla Moschea accese
tutti gli altoparlanti mentre Giovanni Paolo II parlava e ora si nasconde,
accusato di terrorismo.
Al quartier generale di Fatah Nafis Al Rifai, brizzolato, distinto,
occhialini da intellettuale, direttore di tutte le Ong palestinesi, spedisce
ovunque auto con foto di Arafat per sorvegliare le elezioni. Due telefonini
suonano in continuazione. Al Rifai non teme Hamas ed è amico personale di
Marwan Barghouti, vede in lui il leader del futuro. Anche Shuruk, 19 anni,
una bella studentessa in jeans, non teme Hamas: « Potrei anche volermi
mettere il velo, ma per ora non mi va. E nessuno mi può obbligare» . Nei
seggi tutto si svolge regolarmente. Hamas è ovunque. Nel quartiere di Salah
ha Din, dove la povertà riempie di sudiciume le strade, una discussione fra
Ahmad e Mohamed, uno di Hamas e l’ altro di Fatah, va al cuore del problema.
Ad Ahmad, commesso in un negozio di scarpe, non importa nulla di andare al
cinema o di uscire la sera. Hamas fa per lui. Vuole dedicare la sua vita
alla lotta, non gli importa di morire: con Israele non si parla. Mohamed,
poliziotto, gli fa notare che i negozi si sono riempiti di birra
senz’ alcool, perché la birra piace anche a Ahmad. Lui vuole il dialogo con
Israele.
Ma ecco, una macchina scassata si ferma, saliamo; dopo molti giri a vuoto
eccoci dentro una realtà elettorale davvero nuova: Muhammad Shehadeh, uno
fra i principali ricercati della Jihad islamica, ci aspetta. Gli israeliani
lo cercano da 12 anni: le sue foto - un bell’ uomo con la barba nera e l’ aria
decisa - sono su tutti i muri di Betlemme, ma lui la sua campagna la fa al
telefono. Ha 43 anni, raccoglie consensi dovunque, ha persino un
collaboratore cristiano. Nel 1980 ha beccato 25 anni di prigione, poi è
stato rilasciato nell’ 85 con uno scambio. Ha continuato le sue attività , nel
‘ 92 è stato deportato in Libano per un anno. Ma una volta che Shahadeh si è
qualificato come maestro in bombe e esplosivi e mandante di attentati, dice
Israele, i servizi segreti sono tornati sulle sue tracce.
Mi accoglie in poltrona, a fianco il suo M16. Attorno, quattro uomini armati
di kalashnikov. « Mi deve scusare - dice gentile - anche stanotte non ho
dormito perché mi sono venuti a cercare. Facciamo presto: non sto mai nello
stesso posto più di 40 minuti» . I suoi controllano i miei documenti,
chiedono informazioni sul mio cognome, offrono shawarma e yogurt.
Shehadah racconta: « Partecipo alle elezioni perché ho una missione, un
messaggio per il mio popolo: unità , sforzo materiale e politico per
progredire insieme» . Ok, ma la Jihad islamica non boicotta il voto? « Sono un
uomo libero oggi, non ho niente a che fare con la Jihad, sono religioso ma
pronto a una visione aperta» . Spera nella vittoria di Hamas? Alla fine
Shehadah dice che Fatah gli sembra più aperto, anche alle sue esigenze.
« Peccato, però , che Abu Mazen sia debole» . Perché debole? Shehadah ha buoni
motivi personali per dirlo: la mancata riabilitazione che Abu Mazen aveva
promesso nel 2005 è grave per i palestinesi che hanno migliaia di persone in
prigione o in clandestinità con la paura di essere eliminati, come lui.
Shehadah parla molto e in fretta, non mangia nulla. È ansioso di spiegarsi,
per lui queste elezioni sono una possibilità di tornare a vivere: « Sono
diverso da come mi dipingono, non sono l’ ingegnere balistico numero due
(Yehie Ayash con la stessa accusa fu eliminato nel 96, ndr) da decenni non
dormo nel mio letto. Ho moglie e sette figli, ma li vedo poco. È una vita
dura» . Come andrà in Parlamento? « Potrò sempre farmi vivo con mezzi
elettronici» . E se le sparano dal cielo, con gli elicotteri? Ride: « Allora è
volontà di Dio» . Di Shehadah si dice che persino Fatah lo cerchi invano, che
il suo sia uno dei primi casi in cui un sunnita si è convertito all’ Islam
sciita sulle tracce di un’ alleanza con Teheran.
Ma la sua sola verità , in questo momento, è « mettere i fucili da parte. Non
abbandonare la resistenza, ma usarla come un mezzo, solo finché è
indispensabile» . Si può credergli? Di certo se un potere forte uscisse dalle
urne e gli facesse una proposta concreta per una vita senz’ armi, magari la
accetterebbe. Grande e grosso, imbacuccato in una giacca di pelle nera,
sembra stanchissimo, ma i suoi incalzano, bisogna andarsene. Ci caricano
insieme a lui e alle guardie del corpo su un pulmino, corriamo su e giù per
Betlemme seduti su diversi mitra; a una curva il guidatore frena di scatto:
un’ auto con il bagagliaio aperto corre verso di noi. Un agguato? No. Uno dei
suoi mi sorride: « Ho una paura cane» , mi dice in inglese. Scendiamo.
Arrivederci Shahadeh, va a votare? Per ora no. Sembra isolarsi, stringe il
mitra, ringrazia cupo; l’ autista dà gas.