BATTAGLIERI O SMARRITI, MA CON UN SOLO OBIETTIVO: NON CEDERE I LORO INSEDIAMENTI La rabbia dei coloni: « Traditore» In 40 mila manifesta no a Gerusalemme contro il premier
giovedì 5 giugno 2003 La Stampa 0 commenti
GERUSDALEMME
IL vento di Aqaba è forte e spietato sugli abitanti degli
insediamenti, la
scena di Sharon vicino a Abu Mazen con la protezione di Bush e re
Abdallah
vola regalmente nell'etere, rotea sulle loro vite e le rende
precarie,
l'affanno nell'organizzare manifestazioni come quella di ieri sera a
Kikar
Sion, la piazza centrale di Gerusalemme, si mescola con la
stupefazione:
Sharon, colui che credevano il loro Sharon, li vuole cacciare, li ha
abbandonati, ha annunciato l'immediato smantellamento degli
insediamenti
illegali, i famosi « outpost» che dalle colline brulle hanno sfidato
l'Intifada a rischio e spesso al prezzo della pelle dei loro
cow-boys.
Qualcuno inferocito c'è : « Ci dovranno cacciare con l'aviazione» . Ma
non è la
scena intera. La seconda Intifada c'è stata davvero, gli insediementi
l'hanno patita con centinania di morti, con quotidiane paure e
tormenti, le
notti sempre in guardia nelle case isolate, le irruzioni imporovvise
con
stragi di famiglie, i viaggi in macchina nelle strade buie con
addosso il
casco e il giubbotto antiproiettile, che servono a poco.
In stato di choc hanno acsoltato Sharon dichiarare la sua
determinazione a
dare ai palestinesi, anche se costa terra e colonie, uno Stato, ciò
che per
loro significa volare via dalle loro case: « Prima le armi, poi uno
Stato,
senza capire che ciò che vogliono è distruggerci» , spiega una donna
sovraccarica di bambini arrivata da poco alla manifestazione. Ma ci
sono
quelli che digrignano i denti, e quelli semplicemente disperati, come
una
famiglia che durante questa seconda Intifada ha perso il marito e il
figlio
maggiore che tornavano separatamente in macchina al loro villaggio.
Ci sono
quelli fanatici, quelli che gridano alle manifestazioni « morte agli
arabi» ,
ma anche quelli che semplicemente sono già da tre generazioni di Ofra
o
Oranit, e magari sono nipoti di un nonno che forse Shimon Peres, e
non solo
Sharon, invitò ad andare ad abitare in Cisgiordania, chiamandola col
nome
storico di Giudea o di Samaria e chiedendogli di portarvi civiltà e
benessere. Ci sono i politicanti, i cinici e anche i violenti che
alzano le
spalle quando si ricorda loro quello che accadde a Rabin per aver
guidato il
processo di pace, e non riconoscono la colpa indicibile di aver
ucciso con
la loro follia il primo ministro della pace di Olso; ma anche quelli
che
come il giovane giornalista Shlomo Blass dichiarano: « Non ho mai
sparato un
colpo se non per difesa e rifuterei di fare il contrario, figuriamoci
se ho
intenzione di sparare sui soldati miei fratelli in caso mi venissero
a
sgomberare» .
Ci sono quelli che promettono di non mollare neppure un centimetro,
ma anche
quelli che come smarrite Cassandre pensano di esseri gli unici ad
avvertire,
ora che il Likud li pianta in asso, il letale pericolo per l'intero
Israele
che secondo loro gli deriva dalla « road map» . Vivono la decisione di
aderirvi come una pura allucinazione di Sharon: « Non è ormai chiaro -
dice
Raffi Ben Basat della regione di Byniamin, nella Giudea, mentre va
alla
manifestazione di Gerusalemme - che dargli terra in cambio di pace
significa
dargliela in cambio di morte? Ma come?! Il ricordo di quello che
accadde
quando Rabin e Peres consegnarono le armi a Arafat, ovvero che quelle
armi
cominciarono da subito a sparare contro di noi, non ha insegnato
niente?» E
allora? Ci saranno di nuovo le strade occupate, l'auto di Sharon
bloccata
per strada dalla furia popolare, le congiure nelle case, i pupazzi di
Abu
Mazen e Sharon che sfilano insieme?
Per ora Shmuel Goldstein, di Kfar Etzion, fa notare che i cartelli e
gli
striscioni della manifestazione non menzionano mai, per evitare
criminalazzazioni, neppure il nome del primo ministro, ma accusano
genericamente la « linea» del governo, « suicida, criminale» :
« Stavolta, con
quanti morti dovremo pagare la dabbenaggine che già abbiamo pagato
dopo
Oslo, Camp David, Taba, con i morti di questa Intifada?» In generale
l'opinione dei coloni è avvilita prima che furiosa e i motivi sono
due: il
tradimento di quello che sembrava l'unico amico rimasto, Sharon
(« Dopo tutto
alle elezioni il suo grande successo è dovuto agli elettori di
destra» ) e la
certezza che ben presto ci si risveglierà a un enessimo rifiuto, a
un'ennesima guerra, stavolta ancora più micidiale, perché gestita da
uno
Stato palestinese. Ed è per questo, dice Goldstein, che non è il caso
di
alzare troppo i toni: presto saremo costretti a resistere moralmente
e
fisicamente a un nuovo scontro mortale.
Per ora in realtà il tono è deciso, ma non terribile; i più accesi,
al di là
dei soliti scamiciati ormai noti alla polizia, sono i politici di
professione come Efi Eitan o Yvette Liberman, membri del governo che
come
Uzi Landau e Benyamin Netanyahu non sono affatto andati ad Aqaba. I
coloni
stessi, fra i quali un gruppo tratta già , anche se in sordina, lo
sgombero,
sono più che altro presi in contropiede, ancora increduli. Alcuni
insediamenti sono molto vecchi, nascono vent'anni dopo la nascita
dello
Stato di Israele, hanno più di trent'anni. Taluni nascono con intenti
difensivi evidenti, altri - quelli dei religiosi - su ispirazione
nazionalista, altri invece come colonie agricole sulla scia dei
kibbutz e
parecchi persino perché la terra e le case in quelle zone costano
poco. Ma
la recente vicenda dell'Intifada, la sofferenza, li ha compattati
nella
convinzione politica che sia un errore andarsene, e quindi la loro
battaglia
potrebbe essere lunga e accanita.
Lo shabbach, ovvero i servizi segreti dell'Interno, sono molti
preoccupati
alle voci che alcuni gruppuscoli terroristi finora dormienti abbiano
cominciato ad agitarsi nella speranza di compiere qualche grosso
gesto di
provocazione che mandi tutto il processo a gambe all'aria. Sono
preoccupazioni gravi e intense, ma riferite a gruppi alquanto
ridotti. Se
dobbiamo andarcene, mi dice un settler, meglio non trascinare le cose
fino
al surriscaldamento. Sharon aiutò a fondare gli insediamenti, ma fu
lui in
prima persona a sgomberare Yamit, nel Sinai, dopo la pace con
l’ Egitto. Alla
manifestazione la polizia valuta che fossero presenti 40 mila
persone, non
poche; e qualche grido isolato di « boged» , traditore, come al tempo
di
Rabin, purtroppo si è sentito fra la folla. Questa volta rivolto a
Sharon.