Fiamma Nirenstein Blog

Banche, commerci, poesia e vino per i 700 anni di una dinastia fior entina i FRESCOBALDI inventori del Mar Rosso

venerdì 3 dicembre 1999 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein FIRENZE COME si fa a restare Frescobaldi dopo 700 anni di storia di famiglia senza far sghignazzare l'interlocutore quando il cameriere risponde al telefono « Il marchese è a cavallo» ? Come si fa a indicare da lontano mari e monti di vigna (per la precisione 700 ettari coltivati a vigna specializzata su 3500 ettari di tenute) dicendo « Fin là è nostro, e ancora laggiù e qua, tutto questo ci appartiene» ? La risposta è , nella sua arida semplicità , una summa ideologica del nostro tempo: produttività , intesa nel senso più alto della parola, come comanda la parabola evangelica dei talenti e poi Martin Lutero. Ma per carità , la famiglia è cattolicissima. Vittorio il primogenito di cinque fratelli, il propulsore della modernizzazione, con la sua sposa Bona Marchi, occhi di tigre e gambe di gazzella, è un miracolo di convergenze parallele: quando lo incontriamo in Palazzo Frescobaldi di là d'Arno, dove lungo la scalinata del Poggi tutta la schiatta vive ai diversi piani, è un'alta torre in giacca a quadretti verdi di modestia cattolica, di cortesia austriaca, di senso di impresa anglosassone, e nel viso è un fiorentino etnico. Un signore così , circondato dalla seta rosa e bianca di casa, dagli argenti e dalle porcellane disposti per ogni dove sui tavoli, dai quadri con tutti gli antenati di famiglia che lo guardano dagli sfondi neri, risulta tuttavia del tutto spolpato di ogni spocchia e di ogni eccesso, anzi, perfino ascetico, tutto preso dalla missione etica del produrre quei sei milioni di bottiglie per un fatturato di 52 miliardi senza tradire gli avi. Niente zoo safari nel Chianti o visite guidate al baldacchino della bisavola Dianora Salviati che nel XVI secolo fece 52 figli (mai meno di tre alla volta), neppure un'ombra di quel mercimonio ormai sovente unica chiave di sopravvivenza di tante casate nobili, impossibile tradire la bellezza struggente del paesaggio delle otto tenute principali di famiglia: Nipozzano, Pomino, Castiglioni, Poggio a Remole, Montecastello, Montagna, Cortevaliano, Castelgiocondo. Nomi che magari non abbiamo mai letto, ma che certamente abbiamo bevuto, solo che si ami il Chianti. Il fonte battesimale che reca salvezza alla famiglia è colmo di vino: anche se ormai le cantine si servono anche di monoliti di acciaio lucente, e anche se il vino attraversa gli oceani sempre affermato sui mercati internazionali . Bona Marchi, moglie di Vittorio, è di sicuro una forza di rinnovamento determinante: anche lei in equilibrio fra tradizione e modernità . Difficile capire come si possa restare tanto vitale e creativa pur avendo nella voce e nei modi tutte quelle inflessioni che sono lo stigma del privilegio di casta. E' lei che ha inventato con Vittorio la nuova linea del Chianti vestito da Ferrè , lei che ha aperto grandi mercati in Giappone. Bona ha fatto del ripristino e del restauro del patrimonio di famiglia un compito storico e quasi una religione. Può darsi che qui giochi una memoria personale: deve essere rimasta un po' scioccata quando lasciando la sua famiglia di imprenditori agricoli che avevano accumulato enormi ricchezze dalla fine dell'800 e anche quarti di nobiltà , passò giovane sposa dalla villa con piscina di casa sua ai Collazzi alla villa di Camperiti, meraviglioso eremo delabré , epitome della frescobalderia: « Non avevamo riscaldamento, il bagno era lontano dalla camera, la neve entrava dalle fessure delle finestre e non si scioglieva. La neve piace in famiglia, il nonno Lamberto faceva il bagno nella neve sciolta con l'acqua fredda per temprare lo spirito. La sera mi mettevano il prete a letto, quella specie di cupola di legno con la brace per scaldare le lenzuola. Chi non è mai andato col prete a letto non sa che cosa sia veramente il piacere» . Ride la Bona, tutta elegante nel tailleur di Ferrè , accomodata nel salottino della povera nonna Graziella di Mocenigo Soranzo, donna di lettere e di vaglio, che parlava inglese francese e tedesco e sapeva insegnare alla famiglia cosa vuol dire l'unità (non si litiga mai, si prega insieme, si passano le domeniche dopo la messa in campagna), e nell'ironia non dimentica di emanare quel messaggio che dice: « La nobiltà non fa di noi gente frivola: siamo gente per bene, lavoratori rimasti tali dal tempo dei Medici, a quello degli Asburgo Lorena, al fascismo, alla democrazia» . I Frescobaldi sono, in ordine di nascita: Dino, l'inviato di politica internazionale del Corriere della Sera, Vittorio, Maria, Ferdinando, Leonardo. Ce n'era anche un altro, Piero, morto su una Lancia nel '59, sul circuito di Francoforchamps in Belgio. Viene ricordato in un'aura vitalistica e quasi eroica, come quando vinse il Circuito della Consuma, o quando non si tirava indietro nel giocare a calcio o anche nel fare a cazzotti in piazza Santo Spirito. Fra i figli di Bona e Dino, Lamberto e Diana lavorano in azienda; Fiammetta, laureata in agraria, vive a Bruxelles col marito Charles Louis d'Aremberg; Angelica fa la decoratrice e vive a Londra con suo marito, capo della Banca Leehman. Ognuno ha dei figli a sua volta. Oltre a Lamberto, 38 anni, che gestisce le vigne e i loro frequenti cambiamenti, c’ è Stefano di 30 anni, che impara la parte vendite del business: è un'altra figura importante della giovane generazione, come Tiziana, 37 anni, entusiasta delle novità , responsabile dell'immagine e della pubblicità . Insomma, la famiglia è molto ramificata: il futuro sarà ancora nobilitato dalla presenza di qualche Frescobaldi. La storia ha inizi remoti: basti ricordare che nel secolo XII i nostri protagonisti contano già vasti possedimenti agricoli guadagnati col commercio del danaro, delle lane, delle sete. Fin dai tempi di Dino, poeta del Dolce Stil Novo, a Leonardo pellegrino in Terra Santa, ad Antonio ammiraglio pontificio contro « il turco» , all'organista Girolamo, ai cospiratori antimedicei della congiura dei Pazzi, ai prestatori di denaro per i re d'Inghilterra, non c'è pezzo di storia fiorentina dove non si trovi un Frescobaldi. Alla fine dell'Ottocento troviamo il nonno dei fratelli Frescobaldi, Ferdinando, erede del saggio Angelo, insieme al suo cugino dissipatore Dino. Una quantità di fratelli avevano preso i voti liberando il campo. Nonno Ferdinando è cattolico e filantropo, ma anche un grande donnaiolo e mangiatore di cacciagione. Sposa Maria Antonietta di Frassineto, addirittura ebrea, destinata a morire presto e a lasciare una forte impronta in famiglia: « Quando il fascismo era ormai agli sgoccioli - racconta Vittorio - nascondevamo in casa due tipi di ricercati: qualche noto fascista al mezzanino e qualche ebreo al piano terreno. Dovevamo stare molto attenti a che non si incontrassero per le scale, specie quando era nascosta qui Corinna Ginori, la federalessa, donna di carattere» . Ferdinando si risposa con la Graziella Mocenigo dagli omonimi dogi veneziani, donna non bella e alquanto tradita, ma affettuosissima con Lamberto, il padre di tutta la stirpe attuale, che la chiamava senza esitazione « mamma» . Lamberto è un personaggio interessante: eroe ferito mentre guida il suo reggimento di cavalleria durante la guerra '15-'18, attribuiva la salvezza al fatto che la postura eretta del corpo avesse consentito l'uscita di una pallottola da scapola a scapola senza toccare la colonna vertebrale. Era nazionalista, molto amico di Federzoni e Corradini. Grande santo e benefattore, sposa Anna Negrone di Genova. Comincia qui, si può dire, il tentativo dei Frescobaldi di tener duro di fronte all'erosione dei tempi. Lamberto ha studiato agraria, capisce i limiti della mezzadria, diventa un ispettore dei lavori, sorveglia la fattura del vino. Il fascismo lo attira dal lato del nazionalismo, ma lo respinge per la brutalità ; gli piace « la battaglia del grano» e la bonifica, ma lui limita la sua partecipazione a cariche come la presidenza del Consorzio Agrario. La Guerra mondiale è uno spartiacque nella storia delle casate nobili d'Italia. I Frescobaldi soffrono assai quando le tenute vengono saccheggiate prima dai fascisti e poi dai partigiani. E soprattutto, vivono con senso tragico la morte di Lamberto a Pomino nel 1940. E' qui che comincia la battaglia per il recupero che porta i Frescobaldi fino in Giappone e in California: con un funerale a cui sono innumerevoli i preti, e i gerarchi gridano a una folla di nobili l'appello fascista a cui pochi rispondono « presente» . Vittorio il secondogenito prende in mano la situazione da appena laureato, sentendosi sul collo il fiato della riforma agraria. « Lo stato non è un alleato: spezzetta quando deve aggregare, nazionalizza quando si deve privatizzare. Rovina il paesaggio con i paloni, ma impedisce di tirar giù un ulivo morto o di ristrutturare un'azienda» . Comunque, cominciando da un finanziamento del Mercato Comune per 250 ettari di nuovi vigneti meccanizzati ha attraversato il suo Mar Rosso. Il Chianti, definisce, è un Wine State, come la Georgia è il Peach State. Le innovazioni si sono seguite a innovazioni, le acquisizioni ad acquisizioni come quella basilare della tenuta di Castelgiocondo (800 ettari) dove si produce il Brunello. La famiglia è rimasta freneticamente intatta; ha attraversato tutto, compreso il 68 e la gestione rossa di Firenze e Regione Toscana senza ridere e senza piangere. « Non è stato facile - dice la Bona -: a Vittorio gli mettevano gli escrementi sulla scrivania; e quando volevo rinnovare l'iscrizione di mia figlia Fiammetta a inglese, spiegai che mi avrebbe fatto piacere che restasse in classe con le compagne dell'anno precedente, nella scuola di Pontassieve. Una mamma là presente disse: "A me invece non fa piacere che la mia bambina sia in classe con la sua". Era il 68» . Trent'anni sono passati: ora che il vino Frescobaldi è entrato nello star system, con l'amicizia di Bona con Carlo d'Inghilterra, con Ferrè , con Hillary Clinton, di certo a quella mamma piacerebbe invece scambiare due chiacchiere con la marchesa. E di certo beve il vino di quelli che un tempo erano i suoi nemici di classe.

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