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Arrivo in elicottero e folla in delirio nella città sgombrata dagli i sraeliani A Betlemme il grido di Arafat

domenica 24 dicembre 1995 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME DA qui, dal tetto della chiesa della Natività , ritto sopra la Grotta Santa, ha parlato a Betlemme liberata da ventiquattr'ore, a Betlemme palestinese. Il Natale ha tutti i colori della bandiera palestinese: nero, rosso, verde, bianco. Nella piazza Manger, la piazza della Natività e dunque la più cara ai cristiani, 15 mila, forse 20 mila palestinesi hanno volto la faccia verso l'alto, prima verso l'elicottero, poi verso la terrazza sul tetto da cui Arafat parlava: in alto, quelli con la kefiah bianca e nera; in alto, i giovanotti con i baffetti per cui sarà difficile ritrovare un equilibrio dopo tanta Intifada; in alto, le donne col velo bianco in testa e i bambini riccioluti in braccio, rigorosamente separate dai loro uomini musulmani; in alto anche, mescolati per famiglia, i gruppi dei cristiani, con le donne in pantaloni e minigonna, un po' truccate, e gli uomini incravattati che sanno perfino dirti qualche parola nell'italiano imparato dalle monache sul posto. Tesi in alto gli sguardi, e anche le braccia verso Arafat. Rullano i tamburi dei ragazzini travestiti da militari, color cachi. Rullano e rimbombano sulle vallate gialle su cui il sole lancia lunghe ombre di tramonto, il deserto saluta Arafat. Canta il muezzin, tanto forte da coprire il vigoroso scampanio di tutte le chiese di Betlemme, che sono tante, con le porte spalancate sulle viuzze molto simili, ancora oggi, a quelle dei tempi di Gesù , arrampicate su e giù per la collina piena di festoni e di striscioni di benvenuto: benvenuto al capo-simbolo della lotta palestinese. E ancora mille benvenuti, da banche, da gruppi economici, da ditte, da formazioni politiche. Un immenso ritratto di Arafat copre un edificio di tre piani; e lui, l'Arafat vero, risulta un'autentica apparizione, il viso bianco sotto la kefiah, le braccia aperte come ad abbracciare tutti i palestinesi, un'icona che parla, e dice: musulmani, ebrei, cristiani. Usa per la prima volta toni moderati, quieti; ricorda, certo, i martiri che Betlemme ha avuto durante l'Intifada, almeno una quindicina. Saluta cari, la mia tribù ; parla della durezza dell'occupazione, ringrazia Allah, enumera ad una ad una le città liberate e quelle ancora da liberare; ma non chiama alla solita per liberare Gerusalemme. Si limita ad annunciare che pregherà a Gerusalemme e che stabilirà , dalla chiesa della Natività , un ponte ideale con le chiese della Città Santa e con la moschea di Al Aqsa. Ripete, scandisce tutto ciò che dice. Ha un viso terribilmente stanco, ma molto soddisfatto. Ripete, proprio come faceva Rabin, che il processo di pace sta dando i suoi frutti e che lui lo porterà avanti con tutte le sue forze. La gente sembra approvare appieno, risponde con un ruggito di gioia. Si muovono a scacchiera i cappelli rossi dei soldati, i vestiti verdi degli scout, le kefiah bianche, i candidi chador. Arrampicati a venti metri d'altezza su un terrazzino mobile, , alcuni militanti cristiani non smettono di addobbare con fili rossi e lucenti un gigantesco albero di Natale. . Un'impiegata del Comune, musulmana, sospira: questi giorni la polizia tiene sotto controllo tanta gente, ma è difficile sorvegliare tutti i pazzi estremisti che ci sono in giro. importantissimo partecipare alle elezioni prossime venture. Si tratta di creare il Parlamento palestinese per la prima volta, è un dovere per tutti noi.... A Betlemme sono previsti quattro candidati eletti: due musulmani e due cristiani, nonostante la terribile espulsione che ha ridotto i credenti in Gesù da 60 mila negli Anni Cinquanta a 11 mila soltanto. chiesa della Natività che organizza la grande Messa di stanotte - che il fatto che Arafat sia qui con noi darà un segnale molto opportuno ai musulmani, un segnale di pace. Forse d'ora in avanti noi cristiani potremo vivere un po' più tranquilli. Sospira, padre George, ma Arafat finisce con molte benedizioni per tutti, con il ricordo reiterato dei martiri dell'Intifada, con incitamenti a cristiani e musulmani ad andare d'accordo. Ma soprattutto spande sulla piazza l'energia del suo carisma indiscusso, e trova una risposta immediata in canti, in balli, in movimenti a ondate della folla. I militi imbracciano i mitra con grande convinzione. Si improvvisano balli che somigliano alle nostre danze sarde, vecchi scuri e bellissimi sembrano ubriachi di gioia guerriera, saltano come bambini. Ogni volta che uno di loro si muove, si vede come la società palestinese sia fatta a chiazze: chiazze di abbigliamento, di colore, di carattere. Ogni famiglia, enorme, segue il suo capo. Quando Arafat se ne va dal tetto della chiesa che sotto di lui, silenziosa, ospita l'oscurità e il raccoglimento delle ore precedenti alla nascita di Gesù , Betlemme prosegue questo Natale infinito di festeggiamenti: si accendono festoni di luci per tutta la collina. La coincidenza della data della Liberazione con quella che la cristianità ritiene il suo Messia abbia portato al mondo, rende questi giorni i più pregni di simboli per i palestinesi, e per il mondo intero. Silenziosa e composta ma emancipata come si addice a una donna cristiana la moglie di Arafat Suha, giunta la sera prima, ha evitato la folla ed è andata a inginocchiarsi dentro la chiesa della Natività sulla mangiatoia tenendo in braccio la bambina nata dal matrimonio col capo palestinese. Per la prima volta la minoranza cristiana in città andrebbe a Messa stanotte nella chiesa della Natività : amatissimo a Beit Zahur, il sobborgo più cristiano di Betlemme, dove tutti gli baciano la mano ricordando la sua forza di patriota durante l'Intifada, ma anche la sua severità con gli studenti che preferivano stare per strada a tirare pietre piuttosto che studiare - mi sono sempre rifiutato di andare alla Messa di Natale. Non volevo che la mia concentrazione per la nascita di Gesù Cristo fosse spezzata da un soldato israeliano, magari un ragazzino di 18 anni che non sapeva quel che faceva, che mi fermava per strada, con voce e gesti aggressivi, sulla strada della mia chiesa, della mia casa. Non volevo neppure rischiare gli sberleffi dei miei fratelli musulmani. Non c'è posto, di Natale, per i sentimenti di rabbia, di dolore e tanto meno di odio. Così , magari, ho sempre preferito guardare alla tv la Messa del Papa e lasciare che i turisti divorassero la mia chiesa, la mia Grotta della Natività . Per tanti, quasi per tutti i cristiani di Betlemme, finora il Natale è stato così : restarsene a casa, senza cenone, senza regali, in segno di lutto e di tristezza per i molti che erano all'estero, in Giordania, in Egitto, e che in questi giorni sono tornati in famiglia. Sarà in definitiva il primo Natale di Betlemme dopo 28 anni. Poi da domani cominciano i problemi: l'opposizione islamica estremista è pronta a battersi con armi terribili; l'aggressività dei musulmani verso i cristiani non è certo finita; il passaggio dei servizi sanitari e scolastici, di tutti i servizi pubblici, dell'economia dagli israeliani ai palestinesi, creerà non pochi problemi. Il sindaco Elias Frej, un cristiano pragmatico e moderato, ha ormai 80 anni e si dice sia molto malato. I problemi da risolvere saranno un milione; e questa cittadina, che è praticamente un'autentica periferia di Gerusalemme, una sua parte intrinseca, certo dovrà inventarsi anche un modo di mantenere il contatto con l'economia e le strutture israeliane. Con tutto ciò , senza distinzione fra cristiane in pantaloni e musulmane nerovestite, fra i capofamiglia di campagna e i tecnici cristiani esperti di computer, tutti quanti con i loro bei baffi e gli occhi di quel colore dorato degli arabi di questa zona, i bambini in divisa, il venditore di pannocchie bollite e il poliziotto orgoglioso della sua nuova divisa, ognuno in piazza mostra la forza dell'idea di libertà , superiore a tutto, più grande di ogni problema e di ogni remora. Arafat e Gesù Cristo, che il vecchio Abu Ammar ha chiamato ieri fedele alla sua religione, hanno fatto ieri di Betlemme un energetico motore di pace. Fiamma Nirenstein

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