ARAFAT SI DISSOCIA E DONA SANGUE PER I FERITI DI NEW YORK A Betlemme, dove la gente fa festa « Finalmente l’ America impara cosa vuol dire soffrire»
giovedì 13 settembre 2001 La Stampa 0 commenti
L’ AMERICA vulnerabile e esposta, ferita a morte, suscita sentimenti
di
gioia nel mondo arabo, per quanto sia difficile crederlo: nei campi
profughi
palestinesi in Libano, in Egitto , nella West Bank, territorio della
Autonomia palestinese, in Siria, mentre i leader esprimono
condoglianze, la
gente salta di gioia nelle strade. Ridono contenti i bambini
stringendo la
mano delle madri che modulano il verso di felicità gorgheggiata che
si sente
alle feste per matrimoni e nascite. Nelle strade sono stati
distribuiti
dolci. La gente si congratula. Arafat, che ha cancellato la sua
visita in
Siria, uno stato inserito nella lista di quelli che aiutano il
terrorismo,
condanna e esprime dispiacere: ieri ha anche donato sangue per i
feriti
dell’ attentato. Ma il suo campo esulta; si dice scioccato, dichiara
la sua
solidarietà profonda col popolo americano, offre aiuto. Hanan
Hashrawi
definisce propaganda le notizie della gioia palestinese, lo descrive
come un
fenomeno marginale esaltato per nuocere alla causa palestinese.
Secondo un'agenzia di stampa il cameramen che ha filmato le
manifestazione
di gioia nella cittadina palestinese di Nablus è trattenuto per
accertamenti
e i suoi filmati sono sequestrati. Andando per le strade di Betlemme,
dove
ieri sera si sono uditi di spari di gioia e caroselli di auto a
clackson
spiegato, nel suk della piccola via Madbassah di fronte alla piazza
della
Mangiatoia, non riusciamo a trovare traccia di solidarietà per le
ferite
degli americani. Al contrario: la gente palestinese è pervasa da un
profondo
sentimento antioccidentale, che non lascia spazio alla pena. La
sensazione è
che più che vedere uomini e donne e bambini morti e feriti, i
palestinesi
vedono il disastro del Grande Satana amico di Israele, responsabile
non solo
delle sofferenze dei palestinesi, ma di tutti i mali del mondo.
Vestito di jeans, i capelli corti e impomatati come un marine, il
quattordicenne Osama Ibrahim ammette di essere tra coloro che hanno
festeggiato: « Sono contento di quello che è accaduto: l'America se la
prende
costantemente con i palestinesi, l'Iraq e la Libia, aiuta Israele
nella
occupazione delle terre e nell'aggressione al nostro popolo» .
Ibrahim prende fiato e incalza: « Non me ne importa che muoiano degli
americani, persino dei ragazzi della mia età . A loro forse importa
che
muoiano i miei compagni di scuola?» La scuola di Osama è a due passi
dalla
Tomba di Rachele, vicino al check point, dove si svolgono tutte le
manifestazioni di protesta. Lui è sempre presente, dice. Alcuni suoi
amici
sono stati uccisi. E non gli importa di morire in questa Intifada di
Al
Aqsa.
Sanaa Moussa di 13 anni, occhi verdi, indossa il velo mussulmano e i
blue
jeans come tante studentesse: « Era ora che le bombe non fossero solo
quelle
americane contro l'Iraq o la Libia. Che gli tirino qualche bomba!
Finalemnte
anche i ragazzi americani per qualche giorno non potranno andare a
scuola,
io sono rimasta a casa tante volte. Mi ricordo che quando venne
Clinton in
visita ci portarono a dargli il benvenuto con una manifestazione di
gioia, a
lui e a sua moglie Hillary. Poi l'America è tornata a essere un
grande
nemico, il nemico di tutto il nostro mondo» .
Vicino alla Moschea davanti alla Chiesa della Mangiatoia, un uomo con
gli
abiti dimessi, Muhammed Yunes, aspetta l'ora della chiamata del
Muezzin per
la preghiera.: « L'America? Non ci vedo niente di buono. Ci uccide e
ci
perseguita. Cerca amici e non trova che nemici. IL Vietnam , Cuba, le
bombe
atomiche contro Nagasaki e Hiroshima... per gli americani che sono
sempre
stati i più forti, è venuto il momento di diventare i più deboli di
fronte a
un attacco da parte di un mondo che ha sempre disprezzato. Sono
contento. E'
come un leone a cui è entrato un grande insetto in un orecchio:
confuso e
stravolto, non è più buono a niente» .