Arafat ai terroristi: « Cessate il fuoco» C’ è il rischio che i gru ppi armati non lo ascoltino
domenica 3 giugno 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
Yasser Arafat ha dunque detto la formula magica, scortato al
microfono da
Joschka Fischer, il ministro degli Esteri tedesco, e da Terje Larsen,
l'inviato di Kofi Annan nel Medio Oriente. « Metteremo ogni sforzo per
raggiungere un cessate il fuoco immediato e incondizionato» : secondo
le
indicazioni della Commissione Mitchell. Non lo ha proclamato, né lo
ha
ordinato. Ma ha profferito in arabo, tradotto in inglese da Abu
Allah,
l'idea della tregua. Da quel momento i riflettori della storia sono
puntati
più di sempre sul rais palestinese. Può o non può , vuole o non vuole
tornare
al tavolo delle trattative? Il suo « cessate il fuoco» è autentico,
effettivo? Israele spera ed è perplessa. Dalla riunione di gabinetto
del
pomeriggio esce un « aspettiamo e capiremo» : si chiede sostanzialmente
ad
Arafat di compiere mosse significative nelle prossime 48 ore, come ad
esempio - si può speculare - rimettere in prigione alcuni delle
centinaia di
terroristi di Hamas e della Jihad islamica da lui liberati all'inizio
di
questa Intifada.
Poco dopo l'uscita pubblica Arafat aveva diramato un ordine interno,
pare
per iscritto: astenersi da nuove azioni. E a tarda sera, dopo una
riunione
d'urgenza di tutta la sua leadership, l’ ordine forse decisivo ai
servizi di
sicurezza: « Applicare una tregua immediata» . Anche questo per
iscritto.
Hamas ha già risposto in tre modi diversi: lo sceicco Jassin, da
Gaza, dice
che non crede affatto che il rais intenda davvero smettere la lotta a
cui
comunque Hamas è devoto; dalla Cisgiordania invece i dirigenti
dell’ organizzazione si preoccupano apertamente che Arafat voglia
bloccarli;
e infine Khaled Mashaal, da Amman, fa sapere che non gliene importa
nulla di
quello che dice Arafat, si continua con gli attentati. Da Gaza un
giornalista palestinese, Siman Hashafi, dice che « la gente è in parte
sollevata all'idea di un possibile intervallo del conflitto, ma sente
anche
che la sua libertà verrà limitata dal cssate il fuoco, ed è
preoccupata» .
Una frase che spiega molto bene la situazione.
Arafat in questi mesi di Intifada ha portato avanti un piano e una
gestione
in buona armonia con tutte le componenti della sua popolazione: una
nuova
istituzione molto efficiente è stato un comitato nazionale di
coordinamento,
da lui riunito spesso, in cui siedono i leader di Fatah con le sue
componenti, Forza 17 e i Tanzim, Hamas e la Jihad islamica. Sempre di
più
gli Hezbollah sono diventati una componente esplicita dell'Intifada
di Al
Aqsa, soprattutto per tutto quello che riguarda le forniture di armi.
Arafat
ha saputo giocare con perizia la sua autorità e l'autonomia dei suoi
sodali.
E’ tornato a possedere, nel momento in cui ha deciso per il rifiuto,
il
grande carisma e l'autorità che aveva perduto mentre trattava con
Israele.
La mossa di recuperare subito Hamas, che era stato imprigionato e
messo ai
margini nell'ambito dell'accordo di Oslo, lo ha aiutato molto: Hamas
infatti
per le sue opere caritatevoli e per la scelta del terrorismo come
strumento
di lotta ha molta popolarità nel campo palestinese intero. Hamas, per
fare i
suoi attentati, come del resto i Tanzim per i loro agguati e le loro
sparatorie su Gilo, non ha avuto ogni volta, probabilmente, bisogno
del
consenso diretto del capo. La luce verde era di carattere politico, e
ogni
organizzazione si è illusa che la sua libertà consistesse nelle
azioni di
guerriglia. L'Autonomia ha smesso di governare, ha coperto i problemi
di
corruzione e di gestione, e la proliferazione di piccoli leader e di
armate
personali ha mimato la libertà .
Ma Arafat proprio giocando fra l'uno e l'altro ha mantenuto la sua
forza nel
campo intero, altrimenti spaccato e rotto da faide. Arafat è il capo,
anche
se in ogni regime non democratico valvassori e valvassini hanno una
loro
pericolosa giurisdizione. Con fatica tuttavia, e col tempo, il rais
può
arrivare - se vuole - a una relativa quiete. La questione è : vuole
rischiare
il tutto per tutto? Fino a che la paura popolare di una rappresaglia
e la
pressione internazionale da ogni parte non l'hanno costretto, Arafat
ha
puntato sul disastro e sull'intervento internazionale. In verità non
è
lontano dal suo obiettivo. Perché dovrebbe smettere?