ANTICIPAZIONE. La contraddittoria realtà di un Paese fra guerra e pac e: il nuovo libro di Fiamma Nirenstein ISRAELE la rivoluzione degli hamburg er
venerdì 28 giugno 1996 La Stampa 0 commenti
LA rivoluzione dei costumi in Israele è stata così vasta e anche
così terribile, per chi era abituato a quelle famiglie di kibbutznik
austere e liete, a quelle soldatesse dalla faccia pulita e i
calzerotti ciondoloni sulle caviglie, a quei balli tradizionali
collettivi, unica frivolezza autorizzata, che è difficile decidere
da che punto cominciare. Da dove? Dalle sfilate di moda in cui il
solito misto di bellissime yemenite, russe, americane, marocchine
marcia sulla passerella, fiero dell'abbigliamento sado-maso che
subito verrà riprodotto nelle strade. Ombelico in vista, nero, pelle
e catene, stivale fasciante. Tradotto in termini popolari tutto
questo significa che le ragazze israeliane, soprattutto a Tel Aviv, a
Haifa, a Ashdod e in tutta la zona costiera contrapposta a quella
montana, più tradizionalista e dura, ormai vanno in giro mostrando
più merce possibile; e i ragazzi in motocicletta, occhiali scuri da
carogna, rispondono con uno sventolare di code di cavallo, azionano
svariati remote control che producono una quantità di suoni, per
aprire-chiudere-mettere in moto- disattivare.(...) Tel Aviv è uno
scenario sul cui sfondo l'immagine di un ebreo sembra essere
diventata quella di un giovanotto che addenta un panino col salame di
fronte al mall di Dizengoff. Un metro quadrato edificabile costa da
quattro a nove volte un metro quadrato a Los Angeles. E tuttavia si
comprano e si vendono immobili all'impazzata. La bellissima spiaggia
di Israele non consente quasi più un affaccio naturale sul mare. Il
cemento sta per pavimentare tutto. Restano solo a verdeggiare i
terreni dei kibbutz e dei mo shav (un'altra forma di comune
agricola), ma queste antiche istituzioni sono ormai così indebitate
che la loro unica speranza è quella di ottenere un permesso di
edificabilità e buttarsi anche loro, all'impazzata,
nell'urbanizzazione. (...) Ricordo il dispiacere di un mio cugino di
Natanya nel vedere le strade percorse dalle ancora pur rare
automobili col muso giapponese: la sua giardinetta Fiat cessava di
essere un segno di volontà d'avventura. (...) Oggi è tutta una
esibizione di Cadillac, Mercedes, Volkswagen, Fiat e anche di molte
Volvo dorate con i vetri fumè che si toccano parafango contro
parafango. Per andare da Gerusalemme a Tel Aviv occorreva fino a tre
anni fa, dai tre quarti d'ora all'ora di tempo; adesso si devono
prevedere due ore. Le città , compresa Gerusalemme che è
piccolissima (circa mezzo milione di abitanti), hanno problemi di
viabilità che fanno invidia a New York. Un tempo la Egged, la
compagnia cooperativa semiprivata che ha il monopolio degli autobus e
che ha sempre viaggiato fra spari e bombe, condotta da autisti che
vengono da ogni parte del mondo, sanno quattro lingue e ascoltano
musica classica, era l'orgoglio del Paese. Saltare da un autobus che
portava da Ashdod a Tel Aviv e poi da Tel Aviv ad Afula per andare a
trovare uno zio in un kibbutz nel Nord, era lo sport nazionale.
Adesso le cose sono cambiate. Viaggiare è un atto di esibizione
individualistico-priapistica. (...) Una mutazione basilare, che ha
indotto molti altri cambiamenti, è quella delle comunicazioni.
Israele ha una televisione pubblica dal 1967 (prima era ritenuta un
oggetto peccaminoso e borghese). La coincidenza con l'inizio
dell'occupazione del West Bank non è casuale. La giustificazione
ideologica che Israele dette a se stesso per lasciare che la tv
entrasse nelle case, era appunto quella di un compattamento sociale
e, perché no, di una educazione-colonizzazione dei nuovi territori.
Molti furono infatti i programmi in arabo e tutti (ancora oggi)
sottotitolati. Fino a tre anni fa il canale nazionale è stato
l'unico senza spot pubblicitari, con precisi intenti educativi, con
un compatto gruppetto di anchormen, di cui alcuni, ancora dopo
trent'anni, restano i re dei talk show. (...) Il significato per
Israele di questa apertura iperossigenata sul mondo esterno è molto
simile a quello dello sviluppo dell'aeroporto Ben Gurion, a Tel Aviv.
Prima era un piccolo antiquato insieme di baracche dove ogni
settimana arrivavano, oltre agli immigrati, una dozzina di voli
internazionali, soprattutto dall'America.(...) Ora tutti o quasi i
Paesi del mondo vogliono uno scalo per la loro compagnia nazionale in
questa parte del mondo. L'aeroporto, che pure in questi ultimi tempi
si è allargato, arricchito, non riesce più a contenere il flusso
delle partenze e degli arrivi. Israele è oggi un Paese da cui tutti
vogliono partire, continuamente, con frenesia. Un terzo della
popolazione complessiva lascia il Paese ogni anno per un viaggio.
Oltre le onde del mare e oltre le onde della comunicazione si
spalanca un intero mondo che fa da antidoto all'ansia, alla
sofferenza data dalla continua vicinanza col nemico, al senso di
nostalgia che sempre afferra alla gola una terra che ha un'identità
vecchia solo di cinquant'anni. Parlare, comunicare, farsi sentire
sembra che sia, insieme al comperare, una magnifica cura contro
l'ansia; e quest'ansia oggi per la prima volta è placata, sedata
dalla ricchezza. Fino agli Anni Novanta le barzellette sulla lunga
coda che si doveva affrontare per ottenere una linea telefonica si
sprecavano. Ci volevano anni per ottenere un numero privato. Adesso
si ottiene una linea, e spesso anche due, in ventiquattr'ore. Bezec,
la nuova compagnia semiprivata, conta più di due milioni e mezzo di
linee su nemmeno cinque milioni di abitanti. Sellcom e Motorola, le
compagnie dei telefoni cellulari, servono cinquecentomila persone, e
sono in crescita verticale. La deducibilità dalle tasse fa del
cellulare un gadget ormai nascosto anche nelle tasche di molti
allievi delle scuole medie. Si può facilmente incontrare nel
cortile, all'ora della ricreazione, un ricciolino scuro e grassoccio
di origine marocchina che porta in una tasca la merenda (falaffel e
pi ta in un sacchetto di plastica) e nell'altra il telefonino che gli
ha regalato papà per il Bar Mitzvà , la cerimonia della maggiore
età religiosa. (...) La nuova ossessione orale d'Israele si è
alimentata negli Anni Novanta di innumerevoli prodotti di lusso:
prima mangiare era un affare semplice. (...) Adesso mangiare è
un'arte: non c'è settimana in cui a Tel Aviv, e ormai anche a
Gerusalemme, non si apra un nuovo ristorante italiano, giapponese,
thailandese o francese. L'arredamento è pretenzioso, il cibo è
servito in maniera sontuosa, tutti gli israeliani si sentono ormai
dei Luigi Quattordicesimo che si accostano al banchetto. Si
chiacchiera, si fanno apprezzamenti sul cibo. (...) In tutta questa
liberalizzazione dei costumi non poteva mancare il sesso. La guerra,
e prima ancora l'Olocausto, e alle sue spalle e oltre la storia
recente il divorante senso della famiglia degli ebrei, ha fatto di
Israele una società molto orientata verso il matrimonio. (...)
L'ossessione del matrimonio è pari a quella dei figli. I figli
devono essere tanti, almeno tre. Un popolo decimato deve produrre
prole. Un popolo guerriero ostenta la sua virilità anche attraverso
il numero dei figli. Ma d'altra parte, un popolo dove maschi e
femmine sono sempre molto mescolati, che emancipa le sue donne
nell'esercito, sviluppa costumi sessualmente liberi. Così il
matrimonio è il punto d'arrivo di una vita molto libera e che tutto
ad un tratto si restringe, è costretta dentro una casetta piena di
ragazzini che non ti lasciano dormire.(...) La liberalizzazione
pacifista ha fatto venire alla luce una quantità di episodi rimasti
fino ad ora nascosti; l'omosessualità nell'esercito si è animata di
storie che si intuivano, ma che non si sapevano. Alla morte di un
grande eroe di guerra, un colonnello da tutti apprezzato e temuto, è
apparsa sui giornali la notizia che il suo fidanzato ufficiale aveva
chiesto la pensione come vedova di guerra. I ragazzi raccontano che
entrare in un night club ed uscirne poco dopo, diretti verso un
letto, con una partner mai vista prima è a Tel Aviv una cosa molto
comune. Questo non vuol dire che la ragazza non comincerà subito
dopo a interrogare il nuovo partner su quanto guadagna, e se è già
impegnato sentimentalmente. Il vecchio istituto ebraico di far
famiglia prende il sopravvento. Fiamma Nirenstein