Fiamma Nirenstein Blog

ANALISI UN PAESE LACERATO I due guerrieri di Israele Come il soldato Buskila salvò la pace

venerdì 3 gennaio 1997 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME QUANDO Noam Friedmann, stringendo il mitra in mano, si preparava a sparare sulla gente del mercato di Hebron, in quei cinque secondi che precedono ogni istante fatale e restano immobili nel tempo, Avi Buskila, un altro ragazzo israeliano, anche lui con la divisa militare, anche lui con il mitra in mano, in piedi in una garitta, senza saperlo stava per salvare la pace. Quando è saltato giù dalla sua postazione e ha atterrato Friedmann, strappandogli il mitra di mano, quando lo ha costretto a gridare e gli ha impedito di compiere una strage, ha messo in scena uno scontro così simbolico e fatale, così carico di significati, da ricordare quell'attimo in cui gli occhi di Yitzhak Rabin incontrarono lo sguardo del suo assassino Yigal Amir. Solo che, per la disperazione di tutto il mondo, Rabin ha dovuto soccombere alla notte della ragione, e qui invece una piccola luce s'è accesa. Lo scontro fra il soldato Fried mann e il soldato Buskila è uno scontro antropologico e filosofico: dal suo esito dipende il futuro d'Israele. Nel suo risultato è iscritto anche il passato d'Israele. Guardateli: Friedmann porta una kippà nera, il copricapo religioso più severo, di grandi dimensioni, che tutti i suoi conoscenti dicono aver sostituito recentemente la kippà fatta a uncinetto e colorata, una kippà più possibilista, più dialogante; sotto il vestito cachi della sua unità indossa il piccolo manto candido di preghiera, il tallit cattan, il memento permanente di chi vuol fare della sua vita una continua testimonianza di fede. La divisa indossata solo da sei mesi fa di lui un soldato, sì , ma un soldato di che cosa e di chi? Non dello stesso Stato d'Israele di cui è soldato Avi Buskila. Il suo Stato è una patria divina, non umana. Friedmann è un ragazzo cresciuto a Maale Adumim, un quartiere piuttosto popolare appena fuori di Gerusalemme, nel West Bank, ma un West Bank morbido, non abitato da duri coloni. La sua famiglia, infatti, è religiosa, tradizionalista, ma non nazionalista, o almeno non certo come lui. La nonna Ester è una sopravvissuta dall'Olocausto, la sorella di lei è morta deportata a Bergen Belsen. Friedmann a casa ha mangiato pane, dolore e senso di rivincita; ha visto sua madre che in queste ore seguita a ripetere il suo dolore e il suo stupore e i suoi auguri ai feriti arabi, sempre con i capelli coperti. Ha frequentato una yeshiva, una scuola religiosa dove si studiano, si studiano e si studiano senza tregua i testi sacri, rifiutando come negativi i beni del mondo, la cultura laica, la musica, la tv e la radio, e ha subito l'influenza di svariati rabbini. La sua yeshiva non è particolarmente severa. Il suo direttore, Motti Elon, è un rabbino quieto e saggio. Del giovane, racconta che era palesemente squilibrato, e che non gli avrebbe mai messo un'arma in mano. Ma per quanto mite, la religiosità della sua scuola è bastata a inserire come un diktat nella mente di un giovane debole come forse ce ne sono tanti. Un giovane che ha subito l'influenza di una società oggi molto controversa, che per esempio ha fatto della tomba dell'assassino a sangue freddo di 29 arabi Barukh Goldstein a Hebron un monumento venerato da parte della popolazione; che vede alcuni (solo alcuni) dei ministri del governo attaccare Netanyahu quando finalmente si decide ad accelerare la consegna di Hebron ai palestinesi; che sente che Yigal Amir non soffre della generale condanna morale, ma ancora gode di una frangia di ammiratori. Che in generale percepisce che oggi è legittimo in Israele, almeno fra i suoi amici, seguire una voce interna (quella della sua psicopatia, scambiata per la voce divina) che gli intima di uccidere gli arabi per distruggere il processo di pace. Di Friedmann i vicini dicono che cantava continuamente , l'Uomo. Invece alla radio, la madre di Avi Buskila a cui non si possono chiedere opinioni politiche perché è un soldato, ha detto fra lacrime di commozione che chiedeva in onore di suo figlio una canzone di Arik Einstein, un cantante pop che va per la maggiore e che parla di un ufficiale la cui mamma può finalmente piangere di commozione e di paura perché il ragazzo è nell'esercito. La famiglia Buskila, il cui cognome rivela l'origine sefardita, forse marocchina, quanto quella Friedmann è chiaramente ashkenazita, vive a Mishmar ha Yarden, un moshav, una specie di kibbutz in alta Galilea. È un paesaggio rurale, verde, dove si vive perché si ama l'idea dell'israeliano integrale, colto e contadino, e anche perché qua si fa una bella vita, molto ecologica. ha detto il padre Jossi dalla casetta del moshav piena di gente venuta a congratularsi. con onore lo Stato. . Buskila è un ufficiale del Nahal, un corpo speciale che nacque con la creazione dello Stato e che ha come compito specifico quello di essere pionieri, di fare agricoltura, di aiutare kibbutz e villaggi di sviluppo a costruirsi. Si canta molto nel Nahal, e gli altri corpi dicono che si fa la bella vita perché è misto di ragazze e ragazzi, come ai tempi delle tende piantate sul bordo delle paludi che il barone Rotschild comprava per bonificarle. Avi è timido, e a tutte le strette di mano, anche quella di Netanyahu che ieri sera s'è congratulato con lui personalmente, arrossisce fino alle orecchie. Con questo, ci sono tanti ragazzi laici che certo non sono stinchi di santo, e tanti ragazzi religiosi che sono dei magnifici esseri umani. E tuttavia, stavolta Israele sente dolore proprio là , proprio in quel punto sensibile che fa male da tanto tempo e che non s'è mai voluto curare in maniera radicale. Fa male nel cuore dell'ebraismo religioso e nazionalista, perché , c'è poco da fare, il terrorismo politico israeliano nasce tutto da quella parte, e dal 1967 ha fatto ben 60 morti. Quel corpo a corpo che appare in prima pagina su tutti i giornali fra il giovane soldato del moshav e il giovane soldato della yeshiva presto, perché Israele si salvi, deve diventare simile alla lotta fra Giacobbe e l'Angelo (chissà , qualcuno dice che fosse Dio stesso) in cui, alla fine, Giacobbe, distrutto dalla fatica, ma irrobustito da quello scontro profondo e fatale con se stesso, diventa, così racconta la Bibbia, finalmente Israel. Fiamma Nirenstein

 Lascia il tuo commento

Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.