ANALISI UN PAESE FERITO Il film di una sconfitta Il killer indisturba to tra gli 007
mercoledì 20 dicembre 1995 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NON più lacrime, ma rabbia; non più disperazione, ma
sconcerto, senso d'impotenza. E come ha detto Eitan Haber, il fedele
alter ego di Ytzhak Rabin, anche un cieco desiderio di reagire,
magari con la vendetta, alla ferita inferta a Israele dall'assassinio
del suo leader da parte di Jgal Amir. A poco più di 40 giorni dalla
morte di Rabin, tutta quanta Israele alle 8 di sera si è inchiodata
di fronte allo spettacolo, trasmesso dai teleschermi, della
inverosimile ineluttabilità dell'assassinio politico. Ha assistito
alla propria sconfitta, e a quella di qualsiasi altra democrazia di
fronte alla violenza politica. Sì , le forze di sicurezza hanno
sbagliato tutto, passo per passo, restando indietro rispetto a Rabin
e a Peres, non sorvegliando loro le spalle ma solo il fronte
anteriore della loro marcia. Ma in verità quel quadrato di terreno
pavimentato che doveva essere secondo la definizione degli
stessi servizi di sicurezza, è stato usato da loro stessi, dai
leader, come uno spazio per quell'abbraccio che infallibilmente
conduce il leader alla ricerca del calore e del consenso del suo
popolo, entro il quale può nascondersi la vipera. Più di ogni altra
resterà famosa, oltre all'immagine del terribile epilogo in cui, a
un passo dalla sua vittima, Jgal Amir esplode i colpi che uccideranno
Rabin, la sagoma quieta, legittimata, tranquilla, dell'assassino in
mezzo a tanti poliziotti; lo si vede di schiena, a braccia conserte,
a gambe incrociate, quasi in una posizione di concentrazione yoga. La
videocamera l'ha già inquadrato varie volte, seduto su un grande
vaso di cemento per piante sotto le scale, teso quando dalla scala
scende Shimon Peres, prima di Rabin, e gli si pone sulla traiettoria
del fuoco; inerme, mentre si avvia verso le transenne per stringere
mani, parlare con la gente. In quel momento, altri quattro ministri
passano sotto il naso dell'assassino. Quattro ministri importanti,
anche loro tutti presi dal loro dialogo col popolo, anche loro
completamente ignari del pericolo che neppure si nasconde a pochi
metri da loro. Amir li guarda, siede tranquillo, poi si alza, si
guarda intorno, quasi si appoggia col corpo a uno dei poliziotti che
gli si allineano accanto e lo sfiorano, guardando insieme a lui in
direzione delle scale: i politici scendono, ridono, chiacchierano,
stringono ancora mani. Israele, come tutti quanti i Paesi
democratici, ha un bel una zona: sono gli stessi
deputati, ministri, gli stessi politici, era lo stesso Rabin che non
vogliono, che non possono sottrarsi all'ineluttabile intimo contatto
con la folla. Oggi in Israele gli intellettuali parlano della
del delitto di Jgal Amir: nella cassetta
del cinefilo dilettante si vede in modo del tutto patente che
l'assassino era solo, e che emanava da lui un'aria pallida, triste,
del tutto estranea all'ambiente circostante, politicamente gioioso ed
eccitato, omogeneo nell'osannare i capi storici del pacifismo in
quella manifestazione che era la loro apoteosi. Amir è solo,
diverso, piantato in mezzo all'area sterile, tanto diverso che il
cineamatore lo ha preso più di tutti gli astanti, passando da lui a
Peres, due, tre volte; e poi da lui alla scala vuota, due, tre volte;
e poi da lui a Rabin, fino all'omicidio. Ma questa diversità non ha
colpito gli uomini della sicurezza. È stato come un film.
L'assassino solo e pensoso sul bordo del grande vaso, concentrato
sulla sua decisione, acquattato come un gatto su una scelta ancora
più grande e più fatale anche quando potrebbe uccidere facilmente
Peres. E poi lo vediamo, senza sforzo fisico, senza scatto, con due
passi e una breve mossa del braccio cercare impercettibilmente la
pistola, e uccidere un uomo grande come Rabin, circondato dalle forze
della sicurezza. È stato però purtroppo un film molto realistico
quello che Israele ha visto ieri sera. E insieme, tuttavia, restava
inverosimile: era realtà , sembrava una finzione, tanto era facile,
tanto era terribile. Tutti ancora si affannano a cercare
responsabilità specifiche: certo ci sono, certo verranno trovate,
descritte minutamente, condannate. Ma il terribile meccanismo della
violenza politica in democrazia ha qui svelato un'ineluttabilità che
lascia Israele inerme, senza fiato, senza remissione, e che farà
pensare tutto l'Occidente. Fiamma Nirenstein