ANALISI TEMPESTA ALLA KNESSET Bibi danza sull'orlo del vulcano La nuv ola del sospetto ha spaccato a metà il Paese
lunedì 21 aprile 1997 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME. Dopo la decisione della procura e dell'Avvocato dello
Stato di liberarlo dall'incubo del rinvio a giudizio, Benjamin
Netanyahu si è presentato al pubblico non con la faccia del
trionfatore, ma della vittima ed insieme del vendicatore. Se Edna
Arel e Eilakim Rubinstein avessero compiuto la scelta opposta, le
dimissioni non sarebbero state evitabili. Invece, i due massimi
esponenti del sistema giudiziario, dopo aver più volte con grande
accoramento spiegato la loro indifferenza alla voce dei media e della
piazza, e anche a quella della politica, e la loro decisione di
trattare gli accusati come cittadini qualunque, alla ricerca soltanto
di prove giudiziarie, hanno deciso di lasciare soltanto
di sospetto intorno al primo ministro. O, come ha detto la Arel, di
specificare che un mercanteggiamento estraneo e improprio si era
svolto nel governo, ma che le prove per indiziare Netanyahu non
bastano. Dunque Netanyahu, pallido, compresso, ha brevemente ruggito
la sua presa di posizione che è di certo identica a quella del 50
per cento del Paese, e opposta a quella dell'altro 50 per cento, e
che quindi lascia in Israele il tempestoso tempo che trova: a destra,
prende piede sempre di più , e per bocca di Bibi, la teoria del
complotto; si rafforza la critica alla sinistra che non vuole, non
può accettare, ha detto Bibi, che il Paese abbia democraticamente
scelto di andare in una direzione diversa dalla sua, e che quindi ha
fatto uso di tutte le possibili armi per far fuori la coalizione di
Netanyahu. Di questa coalizione proditoriamente fa parte, secondo
l'interpretazione del primo ministro, un vero e proprio complotto
della stampa, in prima linea il telegiornale di Stato, che sempre per
odio inconsulto ha pompato ogni possibile notizia avversa al governo
di destra e a lui personalmente. È ovvio che da queste
considerazioni Netanyahu, senza soffermarsi sulla
sospetto se non con un generico
di cui prenderemo cura, trae la conclusione che non solo le
dimissioni non sono affatto in vista, ma che, anzi, le manovre
nemiche così aggressive ed ingiuste devono essere controbattute
rafforzando tutte le scelte che alla sinistra non piacciono:
costruire a Gerusalemme, non restituire il Golan, non consentire uno
Stato palestinese... Insomma, Netanyahu oggi, dopo la decisione
dell'Avvocato dello Stato e della procura, ha tutta l'intenzione di
cavalcare fino in fondo la teoria della caccia alle streghe, e
probabilmente di risistemare il governo in modo che non si
manifestino più quelle sgradite defezioni che erano avvenute in
questi giorni, così da usarla come macchina da guerra. Ma dall'altra
parte la decisione di Rubinstein e della Arel, così accorati, così
consapevoli del valore che Israele dà all'integrità del sistema
giudiziario, lascia completamente aperto lo scontro politico. Il
sospetto che Netanyahu abbia fatto mercato del ruolo di Avvocato
dello Stato, e che solo l'impossibilità di provare la cosa lo
mantenga nel suo altissimo ruolo, gli crea da stamattina svariati
problemi cruciali: prima di tutto è diventato impensabile formare
una coalizione politica con un uomo da cui il sospetto non è stato
sgomberato; quindi svanisce l'idea accarezzata a lungo dalle due
parti di un governo di unità nazionale. In secondo luogo la sinistra
ha molte più armi per condurre un'opposizione durissima, e
certamente il caso Netanyahu andrà nelle prossime ore in appello
all'Alta Corte di Giustizia ad opera dei deputati del partito
laburista. Essi faranno anche una guerra aperta in Parlamento.
Ancora: già alcuni ministri del suo stesso governo hanno dichiarato
più volte di non essere disponibili a restar presi nella rete della
confusione di Bibi. Per esempio Nathan Sharansky, ministro dei Lavori
Pubblici, che controlla sette seggi, ha detto che nel caso fosse
rimasto anche il 10 per cento del sospetto, avrebbe lasciato il
governo. Anche Kahalani, ministro della Polizia e capo della
Via, un altro partito che siede nella coalizione, potrebbe disertare
il governo portandosi via i tre voti su cui può contare in
Parlamento. E altri importanti ministri, come Dan Meridon al Tesoro,
sono noti per la loro rettitudine. E questa storia di
mercanteggiamenti li ha resi molto nervosi. Infine, ma certo non meno
importante: l'unico indiziato di reato è rimasto Arieh Deri, il
leader dello Shas, il partito religioso dei sefarditi. Adesso è
solo, nerovestito, coi suoi occhi neri, e incarna il simbolo della
sofferenza e della solitudine che lamentano sempre i religiosi di
origine africana, che si sono sentiti perpetue vittime del potere
ashkenazita dalla fondazione dello Stato di Israele. Adesso ancora di
più si sentiranno tagliati fuori dal potere. La piazza di Deri,
fatta di gente che segue con fede intangibile il rabbino Ovadia
Yossef e quindi Deri che ne è delfino, potrebbe esplodere sin da
queste ore, e anche i dieci seggi di Deri potrebbero volare al vento.
Per fare la coalizione ci vogliono 61 voti; per mettere in piedi un
impeachment ce ne vogliono 80... Lo scontro non è finito, anzi, in
questa fase della storia, Israele si prepara a danzare sull'orlo del
vulcano, in piazza, nei tribunali, alla Camera, e nell'ambito del
processo di pace. Fiamma Nirenstein