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ANALISI RIPARTE IL DIALOGO Israele punta sulla firma di Assad Ma in A lta Galilea non si fidano:

sabato 27 aprile 1996 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME IL grande shaker mediorientale frulla di nuovo a mille all'ora: almeno per un momento il destino di guerra, la maledizione di sempre, sembra farsi di nuovo lontano. S'è rimesso in moto, chi l'avrebbe detto, tutto intero il processo di pace. Shimon Peres ieri, nell'annunciarlo al mondo, aveva la faccia dello scampato pericolo, il viso del naufrago che approda su una spiaggia riparata. Certo, un riparo momentaneo, su cui ad ogni istante può abbattersi una pericolosa ondata. L'accordo fra Siria, Israele e Libano per il cessate il fuoco con tutta la benedizione internazionale è più nella lunga durata, per un impegno a non minacciare in nessun modo gli insediamenti civili della Galilea settentrionale e della fascia meridionale del Libano, ed un accordo sottoposto a mille e : i gruppi degli hezbollah sono frammentati e molto gelosi della loro indipendenza; l'impegno di Assad di Siria a trattenerli è molto legato alle sue momentanee convenienze. E d'altra parte l'Iran seguiterà , anche contro la volontà della Siria, a rifornire i gruppi integralisti islamici che cercano di distruggere il processo di pace. E chi sarà delegato a bloccare fisicamente gli hezbollah e le loro katiushe? L'esercito libanese, sempre così imbelle, dovrebbe forse intervenire in una fascia territoriale in cui gli hezbollah hanno ormai legami sempre più stretti con la popolazione dietro cui pure si nascondono, data la crescente influenza della religione nel mondo islamico? O dovrebbero invece essere i 35 mila uomini di Assad già stanziatii in Libano, ostentando così di fronte al mondo la forza d'occupazione siriana mantenuta sinora dal loro rais in una situazione di basso profilo? I cittadini di Kiriat Shmonah nel corso di queste ore, così come i cittadini libanesi spinti alla fuga dalle lore case dai missili israeliani, non giurano ancora sulla sicurezza di questa nuova pace. Pure ci sono molti elementi che danno speranza. Il primo è senz'altro Warren Christopher, ovvero l'incredibile, silenziosa forza d'urto degli Stati Uniti; avanti e indietro mille volte fra Gerusalemme, Damasco e Beirut, l'inviato di Bill Clinton doveva assolutamente dimostrare al mondo che gli sforzi americani per il processo di pace non si erano infranti sulla strage di Cana o su un pugno di terroristi islamici. Christopher così ha incassato senza batter ciglio il rifiuto di Assad di incontrarlo, ha fatto per ore ed ore anticamera lasciando che il capo siriano si pavoneggiasse a sue spese di fronte al mondo arabo ed anche all'Occidente, con la pazienza di chi sa che alla fine la ragione deve per forza venire dalla sua parte. Così è stato: l'uomo di Damasco, così irraggiungibile, così abile in queste settimane nel giocare il potere della sua assenza, così allenato nel mostrare il disprezzo e l'indifferenza propri dei dittatori, alla fine ha dovuto fare quello che non aveva mai fatto prima: accettare un accordo scritto in cui viene preso un impegno comune con Israele, l'odiato nemico che per ora non è neppure riconosciuto dalla Siria come uno Stato esistente. L'accordo scritto costituisce la principale differenza rispetto alla confusione dell'operazione israeliana del 1993, Din Ve Heschbon. E la seconda grande differenza, quella che crea le maggiori speranze nell'impegno di Assad, è il clima generale creatosi in questi tre anni. Un accordo scritto con Israele è un impegno a riaprire in generale i colloqui di pace in un contesto in cui Arafat ha da poco eliminato dalla Carta dell'Olp la maledizione esistenziale contro Israele; certo Christopher ha promesso che i termini dell'accordo di pace fra Siria e Israele, se un giorno finalmente saranno presentati al mondo, saranno sorvegliati da vicino dagli Usa con occhio benevolo non solo verso Israele. Dopo tutto, Shimon Peres è stato tolto da un pasticcio: oltre al terribile errore di Cana, il mondo intero e anche l'opinione pubblica interna biasimavano la sua sottovalutazione dell'operazione bellica in cui si era andato a cacciare. è un pantano, seguitavano a ripetere i commentatori israeliani; intanto l'esercito, Tzahal, spingeva il suo Primo Ministro ad andare avanti, e il mondo intero, invece, lo spronava a smettere. Israele mentre le katiushe ancora si rifiutavano di tacere stava perdendo la sua fama sia di grande guerriero che non sbaglia mai, dato l'orribile errore di Cana, sia di Paese tutto ormai proiettato verso la pace, e quindi approvato dall'intero consesso internazionale. Ora sembra che tutto questo sia finito, che il processo di pace si riapra a tutto tondo, più vasto di prima. E i sondaggi danno di nuovo a Peres 5 punti in più del suo antagonista Netanjau, a meno di un mese dalle elezioni. Fiamma Nirenstein

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