ANALISI Quella generazione dei sionisti rossi
domenica 9 gennaio 1994 La Stampa 0 commenti
ATEL AVIV DESSO che finalmente l’opinione pubblica israeliana sa che
il vecchio Marcus Avraham Klingberg, ormai divorato dalla malattia,
è chiuso in una cella di massima sicurezza ad Ashkelon, la borghesia
intellettuale ashkenazita di Tel Aviv discute con comprensione e
quasi con simpatia di quel vecchio spione sovietico. Nel caffè di
via Shenkin, rifugio della boheme pacifista, appare evidente che
Klingberg debba essere graziato; qualcuno fra i personaggi più
attempati ricorda come, vestito con quella giacca così insolita per
lo standard locale, Marek si accalorasse nello spiegare ai tempi
della guerra fredda, e quindi del grande potere russo sulle decisioni
dei Paesi arabi, la Siria, l’Egitto, la Giordania, che solo dal
contenimento sovietico poteva provenire la garanzia della pace per
Israele. Klingberg non è certo stato il solo in Israele ad aver
fatto la spia per l’Urss. Almeno altre cinque vecchie spie sono in
galera come lui per questo; molti altri nomi vengono tenuti segreti;
fra questi diversi membri della leadership israeliana. La loro
avventura estrema è la traduzione di un sentimento, di una cultura
addirittura fondanti nella storia dello Stato d’Israele che ancora
molti chiamano per scherzo l’ultimo Paese del socialismo reale.
Klingberg aveva ricevuto dall’ideologia socialista, ai tempi in cui
ancora viveva in Polonia, il primo nutrimento per diventare, lui,
figlio di un rabbino, un giovane moderno, un uomo universale. Più
avanti l’Urss l’aveva salvato dal campo di concentramento e dalla
morte, la sorte subita da tutta la sua famiglia, accogliendolo,
avviandolo agli studi, all’esercito, alla carriera scientifica e
all’affermazione sociale. Marek, ancora ragazzo, aveva visto con i
suoi occhi l’immenso sacrificio dell’Armata Rossa. Poi, nell’Israele
del ‘48, la sua fede socialista si era corroborata all’interno del
gruppo dirigente dello Stato d’Israele. Il sionismo di fondazione era
ideologia di ebrei secolari e certi che gran parte dell’affrancamento
sarebbe venuto al nuovo Stato con poderosi elementi di socialismo: di
questo si trova tutt’oggi ampia traccia negli stilemi dell’educazione
collettivistica della gioventù , nel modo in cui ancora sono
strutturati ospedali, sindacati, banche, esercito e quant’altri
luoghi sociali. Oltretutto Klingberg lavorava intorno a segreti di
Stato che probabilmente il suo umanesimo socialista gli mostrava in
una luce vergognosa, militarista, autocratica; la sua nostalgia per
il socialismo ed anche i suoi sensi di colpa possono averlo indotto a
trasformare in azione quello che in altri come lui è rimasto puro
sentimento. Delle pochissime foto che i servizi segreti israeliani
non hanno potuto far sparire, ce n’è una che lo mostra in giacca e
cravatta mentre accompagna la figlia Sylvia sulla porta di una
prigione israeliana dove la giovane donna volle sposare Udi Adiv, un
rossissimo militante antisionista. Sylvia era solita criticare il
padre per il suo attaccamento allo Stato d’Israele. Le loro liti
erano talora violente, terribili. Si può pensare che anche in quelle
occasioni Klingberg fosse tuttavia sincero: tanti, come lui, hanno
pensato che stare dalla parte di Israele e insieme da quella
dell’Urss fosse un tutt’uno, e che la storia aveva commesso un
tragico errore nel non capirlo come invece essi avevano saputo fare.
Se una mattina di venerdì qualcuno capita al caffè Tamar di via
Shenkin a Tel Aviv può incontrare ancora parecchi settantenni che la
pensano così , ed anche qualcuno che, più fortunato di Klingberg, è
finito negli anni passati in galera per spionaggio e adesso si
crogiola al sole sulle vecchie seggiole scrostate. Fiamma Nirenstein