ANALISI LA STRATEGIA DEGLI ULTRÀ La predicazione dei kalashnikov Vogl iono convertire, incuranti del giudizio del mondo
giovedì 4 agosto 1994 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV È in progressione geometrica il numero degli attentati che
attraversano come bolidi di fuoco impazziti l’intero universo
occidentale, da quello ridotto ai minimi termini del quartiere
francese di Algeri, a quello caotico di Buenos Aires, fino al centro
di Londra, immagine di un’Europa un po’ obsolescente ma pur sempre
carica di valori simbolici. Noi seguitiamo a chiamarlo terrorismo, ma
del terrorismo ha solo alcune caratteristiche importanti, ovvero la
subitaneità ; la sorpresa nella scelta dell’obiettivo;
l’utilizzazione delle armi tipiche del terrorismo. Ma il terrorismo
che noi conosciamo, quello occidentale di cui anche l’Italia ha
recente memoria (con la strage dei sette marinai), ha un altro tratto
fondamentale: la ricerca del consenso a vasto raggio, il
proselitismo, la repentina sensibilizzazione del mondo a un tema che
viene ritenuto universalmente approvabile e la cui bontà si dovrebbe
scoprire appunto attraverso il gesto eclatante. Di questo genere sono
stati il terrorismo delle Br, in generale quello per ideali politici
o di carattere nazionale, quali la liberazione della Palestina o
dell’Irlanda. Qui invece gli attentatori della Jihad islamica non
hanno nessun interesse ad attrarre l’opinione pubblica mondiale alla
loro causa. Questo non è uno dei loro fini: l’Occidente, che ogni
qualvolta si trova di fronte a un attentato di matrice
fondamentalista islamica stupisce per la violenza del messaggio che
riceve, e si domanda perché , e si esercita in giudizi morali
condannando lo spargimento di sangue innocente, deve sapere che i
temi che solleva di volta in volta nelle discussioni e nei commenti
(la delusione, il colonialismo, la miseria patiti dal mondo arabo)
possono essere tutti veri; e tutti quanti, tuttavia, sono
parzialmente non in relazione con il fenomeno cui assistiamo oggi.
L’integralismo islamico, con i suoi attentati, non vuole spiegarci
niente, non desidera affatto il nostro consenso di occidentali, non
vuole entrare in contatto con noi, non si pone neppure un obiettivo
politico immediato. Il suo sguardo è puntato solo episodicamente,
per esempio, sulle trattative fra Israele e Paesi arabi, o sulla
leadership dei Paesi arabi, o sul primato di Arafat fra i
palestinesi. Ben più vasti e più ambiziosi sono i suoi obiettivi.
Dall’Iran alla Siria ai Paesi del Nord Africa, ogni sezione religiosa
del mondo islamico si rende conto di vivere un momento magico, di
rara potenzialità . Parliamo dell’Islam arabo, non di quello turco.
Che sia l’Occidente in modo diretto, o i suoi pretesi alleati
traditori governanti arabi il nemico che si vuol colpire, è
importante sapere che alla base tutti i gesti odierni sono volti a
rendere visibile e a incrementare col proselitismo il fenomeno
neofondamentalista. Tutto il resto ha un carattere episodico: la
Jihad ha un solo nemico, ovvero colui che non appartiene all’Islam;
ed ha un interlocutore solo, ovvero il proselite potenziale che in
questi anni è cresciuto e si è fatto sempre più promettente e
motivato: è il giovane frutto della verticale crescita demografica,
culturale e politica del mondo arabo, il figlio della miseria e di
genitori che hanno magari creduto nella occidentalizzazione e nella
laicità , e non ne hanno ricevuto in cambio un miglior tenore di
vita. Le bombe di Algeri, Buenos Aires, Londra sono atti di guerra di
un esercito che è , sì , ancora frantumato e disunito, ma in continua
crescita nelle zone più inaspettate. Nella Giordania, ultimo
avamposto della pace con Israele, la terra del re Hussein, amante
delle donne bionde e dei costumi anglosassoni, nelle moschee si
predica ogni venerdì contro ,
e il ministro del Culto non può farci nulla. In Egitto persino i
giornalisti più famosi, le star dei giornali laici del Cairo,
sentono il fascino, e lo scrivono, della Guerra Santa e della sharia,
la legge del Corano. : questo slogan è ormai
graffito in nero come un leitmotiv su tutte le mura delle città
arabe e anche delle metropoli occidentali dove vivono gli immigrati.
È dietro questa spinta che i leader arabi, spaventati, hanno
accelerato il processo di pace in Medio Oriente. Nessuno sa bene
quanto loro l’appassionante bellezza e il terribile rischio di una
religione fiammeggiante e conchiusa, che tutto conosce e che indica
senza remissione i buoni e i cattivi. In un mondo pieno di incertezze
culturali e sociali come quello musulmano, ogni giorno ci sono dieci
nuovi ragazzi che si fanno crescere la barba, come indica la sharia.
All’inizio il vicino di casa sorride e ha persino un po’ paura. Ma
alla prossima manifestazione di forza, magari in una parte del mondo
così lontana da lui, e dove pure vive un musulmano, forse
desidererà a sua volta provare l’orgoglio di quella barba che
promette l’universo. Fiamma Nirenstein