ANALISI LA PACE INEVITABILE Bibi, l'uomo che diceva di esser falco Pr omesse elettorali e bugie di un premier pragmatico
mercoledì 19 febbraio 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV OPPORTUNISTA! Voltagabbana!. Ormai questo grido, che si
alza vigorosissimo dai banchi parlamentari su cui siede lo stesso
Netanyahu, quelli della destra, suona piuttosto un complimento che
un'accusa. Ebbene, sì , Netanyahu è un autentico bugiardo rispetto
alle promesse fatte al suo elettorato, promesse da falco, prima di
diventare primo ministro nel giugno scorso. Del resto fra i leader
mondiali suoi pari, o fra i leader delle opposizioni destinati a
ruotare al potere, chi non lo è ? Da Clinton a Chirac, a gran parte
dei leader Est europei, ai diversi ex socialisti o ex comunisti (da
Tony Blair a Massimo D'Alema) non c'è chi non la dica in un modo e
poi la faccia in un altro, oppure chi non dichiari senza troppo
rammarico una morte della sua precedente ideologia abbracciando un
conclamato pragmatismo. Ma questo fa male alla salute del mondo? A
giudicare da quel che succede in Israele, tutt'altro. Sembra che il
pragmatismo dettato dalla catena che ormai lega tutti i leader del
mondo affluente o che ambiscono ad entrare nella koinè del
benessere, detti di fatto, insieme con i comportamenti orientati
verso la conservazione del potere, anche dei valori, per così dire,
automatici. Primo fra tutti quello della pace. Prendiamo dunque
Netanyahu, che è tornato dal suo viaggio negli Stati Uniti avendo
promesso a Clinton (così sembra, anche se non è confermato
ufficialmente) di non intraprendere le costruzioni ebraiche nella
zona di Gerusalemme chiamata Har Homà . Sennò , non ci sarebbe stata
quella bella photo-opportunity che ritrae Clinton che gioca con i
bambini di Bibi in segno di grande familiarità . Har Homà è una
vasta zona verde a Sud di Gerusalemme, fra il kibbutz di Ramat Rachel
e Beit Sachur, un villaggio sotto il controllo dell'Autorità
palestinese. Già da tempo (da quando la città era governata dalla
sinistra, sindaco Teddy Kollek) era stato fissato ed approvato nel
piano regolatore di costruirvi 6300 unità abitative per 25 mila
cittadini. Per tutt'e due le parti possedere quella zona è
strategico: se ci costruiscono gli ebrei, allargano il confine della
città a Sud impedendo un autentico accerchiamento di Gerusalemme da
parte dell'Autorità palestinese, che a sua volta godrebbe di una
continuità geografica fino al quartiere di Talpiot, praticamente in
centro, in caso contrario. Sono metri, centimetri preziosi, e ieri
Netanyahu è stato sottoposto a una tempestosissima riunione del
governo su Gerusalemme in cui non ha detto né di sì né di no, ma
è stato bombardato dai suoi ministri, come Ariel Sharon, che gli ha
intimato di dare immediatamente il via ai bulldozer, in coro con
molti membri del governo. Una domanda fatta in tono molto pressante,
quello che usano i puri contro i traditori. Benny Begin, ministro
già dimissionario da quando Bibi ha ceduto Hebron, ha intitolato la
sua mozione all'ordine del giorno: ,
uno slogan identico a quello dedicato a Peres durante la campagna
elettorale. Lo slogan più offensivo, il più pesante, perché
Gerusalemme è davvero un grande amore ebraico, anche per i non
religiosi. Ci vuole un gran coraggio, e molto tempo, per pensare di
trattare su quella che oggi è la capitale dello Stato ebraico. Solo
pochi mesi fa Bibi promise di non stringere mai la mano ad Arafat. E
l'ha stretta. Ha anche abbracciato il capo palestinese. Poi, ha
promesso di non lasciare Hebron. E l'ha lasciata. Poi, di tenere ben
stretta Gerusalemme. E che succederà dunque? Che bisogno c'era,
dicono da queste parti, di condividere con Clinton una decisione
così intima, così interna? Dice un famoso studio su McDonald's, la
grande industria di fast food, che nessun Paese dove sia stato aperto
un McDonald's ha mai fatto guerra con un altro Paese che a sua volta
ce l'abbia. È una metafora, ma solo fino a un certo punto: perché
la grande multinazionale lavora solo con Paesi in cui almeno esista
la predisposizione ad avere una classe media disposta a stare in coda
pacificamente e col danaro in tasca piuttosto che a scontrarsi. Una
classe media che ha qualcosa da perdere. In Giordania esiste un
McDonald's. In Siria, no. In India sì ; in Pakistan no. E in Israele
ormai ce ne sono una miriade, kosher e non. Netanyahu adora i
McDonald's. Ama la globalizzazione; gli piacciono le multinazionali,
le privatizzazioni. Gli piace l'America, forse gli piace di più di
quanto non ami, ormai, i padri del sionismo che ha studiato nella sua
infanzia. È un male questo? È un male la sua caduta ideologica che
somiglia tanto a quella della maggioranza dei suoi colleghi leader
cinquantenni? Certo, non ha soltanto lati positivi. Consumismo,
materialismo, appiattimento, cinismo, ne sono i prodotti collaterali.
E poi, dal punto di vista pratico, diventa molto difficile decidere
per chi votare senza punti di riferimento ideologico sicuri. Ma è
facile invece immaginare che fra tanta aridità di cuore, pure la
pace sarà salva. Il leader palestinese Feisal Husseini minaccia in
queste ore guerra se Har Homà verrà costruita. E Netanyahu questa
volta ci crede: e sa che potrebbe essere peggiore di quella che gli
aveva promesso Arafat prima dell'apertura della galleria sotto il
Muro del Tempio. Se anche adesso dicesse: , non
c'è da credergli. Rimanderà almeno fino a che non saranno avviati
colloqui per la fase definitiva degli accordi di Oslo. Fiamma
Nirenstein