ANALISI L'AVANZATA INTEGRALISTA Secoli fa, la pace di Sadat Lo spirit o perduto del viaggio in Israele, nel '77
giovedì 20 novembre 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV
IERI, mentre l'Egitto si mobilitava per l'ennesima volta nel
tentativo di reprimere il suo terrorismo islamico, cadeva il
ventennale di quella data magica, meravigliosa in cui Anwar Sadat,
schivando le diplomazie americana e sovietica, solo, scese la
scaletta del suo aereo presidenziale e toccò la terra d'Israele.
Strinse la mano a Begin e disse: "Non più guerra, non più
spargimento di sangue".
Era dunque il 17 novembre del '77; nell' '81 quest'uomo
grandissimo, che con Begin mostrò di saper aprire il cuore oltre
che la strada politica alla pace, fu falciato dal terrorismo della
Jamaa Islamiya, il gruppo nato negli Anni 70 sotto lo scudo
teologico dello sceicco Omar Abdel Rahman che, nonostante abbia
subito duri colpi a più riprese (comprese le ultime due condanne a
morte dopo l'attacco ai turisti tedeschi del 18 settembre), ha
seguitato a uccidere innocenti. Uccidono. È il loro modo di
affermare il primato di un Islam frustrato, povero, schiacciato da
autocrazie corrotte ed egoiste, insofferente al rapporto con
l'Occidente, dominato da un sogno teologico che ignora ogni
politica se non quella dell'arcaica legge di governare schiacciando
chi non si sottopone alla legge del Corano o comunque a quella che
ne è la loro interpretazione.
Le gesta dell'integralismo islamico corrispondono o a iniziative
spastiche di gruppi ormai privi di una leadership centrale (come
probabilmente in questo momento in Egitto), o a un disegno
internazionale di cui si tirano le fila, con abbondanza di mezzi,
di armi, di armati, in Iran, in Siria, in Libia, in Sudan, e per
vie più traverse anche in altre parti del mondo musulmano come per
esempio in Arabia Saudita, un Paese che finanzia il terrorismo
anche in Egitto per paura di attentati a casa propria.
Ma chi si illude di poter trovare le ragioni di tanta violenza
solo in spiegazioni geopolitiche, senza considerare la forza
dell'ideologia come si deve, senza guardare ad occhi aperti la
frustrazione e l'odio antioccidentale, non troverà mai una
corretta interpretazione dell'integralismo islamico. Mai esso è
stato fermato da nessun processo di pace in corso, né da quello di
Sadat e Begin, né da quello di Rabin e Arafat.
Ieri Israele, nella memoria di Sadat, si è sciolto in ricordi e
in sospiri, ripensando a quella pace con l'Egitto che non è mai
riuscita a diventare una pace calda. I giornali erano pieni di
titoli, la tv di immagini di nostalgia, e anche d'amore. In Egitto
pare che un solo giornale abbia ricordato la visita di Sadat,
definendola una visita a Tel Aviv e non a Gerusalemme: e
l'"Egyptian Gazette", in lingua inglese, si è curata di mettere
accanto al titolo su Sadat un titolo più grosso: "Uomo d'affari
egiziano ingannato da businessman israeliano". Nei giorni scorsi i
quotidiani erano pieni, come sempre negli ultimi mesi, di
fortissime accuse di Mubarak a Netanyahu, accuse verbose, molto
minacciose nei confronti di una pace che sui giornali egiziani di
Stato sembra casuale, episodica, per niente radicata nella
coscienza civile. Tuttavia non è perché Mubarak intenda rivedere
il trattato siglato con Israele.
La verità è che in tutti questi anni in cui pure Mubarak e anche
altri raiss arabi come Arafat hanno fronteggiato terribili minacce
terroristiche in patria, hanno seguitato a illudersi di poter
contendere con le parole all'integralismo islamico almeno parte
dell'opinione pubblica; invece di rendere impresentabile il proprio
nemico, l'hanno onorato, ne hanno mimato gli argomenti, gli hanno
preparato l'acqua sociale e culturale in cui nuotare. Con questo,
non s'intende che uno dei motivi primari del terrorismo islamico
sia radicato nella politica statuale dei Paesi arabi. S'intende
tuttavia dire che essi, consentendo per esempio in Egitto che tutti
i giornali di Stato attacchino Israele, l'America, si pascano di
ambiguità filo-Saddam, si eccitino di misticherie sul carattere
arabo, diffondano caricature oscene, mostrino di non aver compreso
che prima di tutto occorre rendere impresentabile l'estremismo
stesso al popolo.
Il grande meeting di un anno e mezzo fa di Sharm El-Sheikh contro
il terrorismo, dove i Paesi arabi moderati andarono mano nella mano
con gli israeliani e gli americani, cercando di risolvere insieme
il problema della sicurezza come un problema cruciale per tutto il
mondo, rappresentò in realtà l'unico approccio possibile, anche
se non esaustivo, al problema che in queste ore tormenta Mubarak, e
che però di volta in volta sia i Paesi occidentali sia quelli del
mondo arabo sono costretti ad affrontare. Più tardi, sicurezza è
diventata per il mondo arabo una parola di parte, una parola tutta
israeliana o americana, pretestuosa, contraria al processo di pace.
Oggi è finalmente giunta l'ora di restituirle tutta la sua
dignità e il suo valore internazionale.
Fiamma Nirenstein
