ANALISI L'AGONIA DELLA PACE La tragedia degli equivoci Danza sull'abi sso per due leader e due popoli
mercoledì 2 aprile 1997 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV PIETRE, frasi roboanti, pallottole, e il tritolo che esplode
a più riprese come in una celebrazione impazzita della guerra,
quando la guerra sembrava ormai spenta, o almeno lontana. Sono un
incubo l'aria grigia e l'hamsin, il vento bollente del deserto, che
in questi giorni accompagnano la danza sull'abisso di Arafat e di
Netanyahu, e dei loro popoli. Ieri è stata l'apoteosi della
confusione: i due terroristi suicidi proprio dentro Gaza, la casa di
Arafat; la scelta di colpire proprio i pullman scolastici degli
ebrei, che certo a una strage di bambini avrebbero reagito con tutte
le loro forze; la divisa da poliziotto palestinese indosso a uno dei
terroristi che sono saltati per aria... E poi quel comunicato
dell'Autonomia Palestinese riunita addirittura nell'istanza solenne
del Parlamento che non trova niente di meglio da dire che gli
attentati sono stati fatti dall'esercito israeliano] Fino a qualche
settimana fa, Arafat era un politico finissimo, un funambolico
protagonista capace di stare in equilibrio fra Occidente ed Oriente
nella lotta per conquistare una patria al suo popolo. Adesso, la
confusione sembra sommergerlo: da una parte è evidente che non è
suo interesse perdere le otto città che ha già conquistato, e dove
vive la massima parte del popolo palestinese (escluso quello che
dimora in Giordania) e che la continuazione della trattativa è
congeniale al suo scopo di arrivare a un territorio più compatto
possibile, che costituisca cioè un vero Stato. Dall'altra, la spinta
che ha voluto dare a Netanyahu perché scendesse dal suo arroccamento
anticoncessionista è diventata un invito alla danza per il
terrorismo, e anche una pericolosa messa a fuoco della confusione
istituzionale che regna all'interno delle forze della sicurezza
palestinese. Jibril Rajub, che doveva di fatto reprimere e sedare le
esplosioni di violenza nel suo ruolo di capo della polizia, è stato
invece uno degli animatori degli scontri di piazza di questi giorni;
il poliziotto ucciso oggi dagli israeliani a Shkem era fra i
dimostranti senza divisa; invece, come si è scritto, il terrorista
di Gaza indossava una divisa... Questa parabola degli abiti scambiati
è un segnale del caos che regna nei servizi segreti e nella polizia
di Arafat non appena il momento si fa rivoluzionario e non pacifista.
Ed è logico che sia così , dato che tutti gli uomini di Arafat
vengono dalle file di quel movimento dell'Intifada che fu appunto un
movimento rivoluzionario per eccellenza volto a scalzare
l'occupazione israeliana dalla West Bank e da Gaza. Gli americani
hanno desolatamente reso noto che secondo le loro informazioni gli
uomini in divisa e quelli della sicurezza del Rais palestinese non
intendono tornare alle antiche forme di collaborazione con i servizi
israeliani, almeno per ora. E i servizi israeliani nel frattempo
fanno sapere che non c'è nessuna conferma che i terroristi di Hamas
- fra cui Ibrahim Makadmeh, il capo del braccio armato
dell'organizzazione - che risultano connessi con le imprese
terroristiche già compiute o in fase di progettazione, siano stati
fermati o interrogati. Arafat dichiara alla Lega Araba, al Cairo, che
i palestinesi sono già in virtuale stato di guerra, mentre seguita a
proclamare che Netanyahu deve tornare al processo di pace. Netanyahu
a sua volta non dà mostra di nessuna chiarezza, nonostante che la
confusione di Arafat gli faciliti uscite del genere: non abbiamo
paura, nessuno ci costringerà con il terrorismo a fare alcunché ,
non saremo piegati dagli eventi, e altre esternazioni che cercano di
rafforzare un'immagine di fiducia in se stessi. Di fatto, la sua
strategia resta ancora indefinita: si capisce soltanto che vuole
andare alla famosa dei rapporti
con i palestinesi; ma è ancora un mistero, detto e contraddetto, la
quantità di territorio che è disposto a cedere; lo status di
Gerusalemme quale risulterà alla fine; la sua disponibilità
effettiva verso l'esistenza di uno Stato palestinese. In generale,
anche il suo quadro è confuso politicamente, e si sviluppa sempre
più quella mancanza di reciproca fiducia che Netanyahu non ha saputo
costruire, cosa che è stata ritenuta la sua maggiore carenza. Quello
che è chiaro è che se anche Arafat e Netanyahu dovessero andare
all'appuntamento che Clinton propone loro non saprebbero, oggi come
oggi, che cosa dirsi. L'unico che sa veramente di cosa sta parlando
è Clinton, il quale ha fatto avere a Netanyahu una proposta di
questo genere: ti sosterremo nella tua idea di trattare in sei mesi
lo se tu per sei mesi interrompi le costruzioni a
Har Homà . È un'idea. Fiamma Nirenstein