ANALISI IL NUOVO UMORE DI ISRAELE "Dategli il colpo di grazia o un ba rlume di speranza"
venerdì 13 novembre 1998 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
UN brivido e uno sbadiglio: così , in questa ennesima ipotetica
vigilia della guerra americana contro Saddam Hussein, reagisce
Israele. È una reazione inusitata come di qualcuno insieme molto
preso dai fatti suoi (la ratificazione e la messa in pratica
dell'accordo di Wye) e trascinato invece ancora una volta nel ruolo
di comprimario di una commedia che non ha voglia di recitare. Non
era capitato prima che, mentre la gente comincia a preoccuparsi per
un possibile attacco missilistico accompagnato da gas nervino, il
giornale intellettuale Hà Aretz aprisse la prima pagina con un
commento come quello dell'esperto di strategia mediorientale Zvi
Bar'el dal titolo "Ma che accadrà se Saddam non accetta l'effetto
deterrente?".
In genere, sia durante la guerra del Golfo che durante la seconda
crisi, Israele oltre alla preoccupazione per i propri cittadini
esprimeva un diffuso desiderio di vedere gli americani assestare
finalmente un colpo definitivo al loro acerrimo nemico. Adesso c'è
un atteggiamento molto più possibilista verso un accordo: l'idea
è che l'attacco sia giustificato se può finalmente preludere a un
trattato che fissi la fine delle sanzioni e d'altra parte
neutralizzi le intenzioni di Saddam di costruire armi non
convenzionali, più che distruggere quelle esistenti.
In verità , la psiche israeliana è sempre meno portata alla
guerra anche se si tratta di nemici mortali; e d'altra parte, sia
pure inconsciamente, entra in gioco la paura. Roni Daniel, il
maggior commentatore di cose militari del telegiornale, ha ammesso,
anche se minimizzando il pericolo, che se per caso Saddam dovesse
attaccare Israele, questo avverrebbe in uno stadio estremo,
sull'orlo della perdita del suo potere. Così , certo, il raiss non
avrebbe più remore a usare le armi non convenzionali contro
l'obiettivo più redditizio e più vicino: la solita Israele.
Tuttavia, gli risponde un altro esperto, Ron Ben Yshai, è chiaro
che se il raiss iracheno arrivasse a tanto, ciò darebbe ragione ai
sospetti americani; quindi Clinton avrebbe il diritto-dovere di
tagliare alla base il potere di Saddam. Allora, sempre che Saddam
si salvasse, la sospensione delle sanzioni si allontanerebbe
alquanto. Ed anche gli israeliani, ormai, sembrano propensi a non
pensare più che Saddam abbia proibito ad agosto le ispezioni per
pura malvagità quanto piuttosto per suscitare all'Onu un nuovo
dibattito.
Anche Arafat, certo, non deve essere molto contento di quel che
succede con l'Iraq: stavolta per lui, dopo aver scelto l'America
come ottimo amico e mallevadore, non sarebbe possibile lasciare che
i palestinesi danzino sui tetti pregando Saddam di lanciare i
missili contro Israele. Invece, d'altre parte, l'opposizione
estremista interna, che vuole affossare l'accordo di Wye, vede lo
scontro americano con Saddam come una possibilità di ristabilire
giusti ruoli in commedia; in sostanza, di aggregare cioè un bel
pò di estremismo e di dissenso contro Arafat, e insieme contro
l'Occidente. È interessante come la crisi di scetticismo di
Israele (che tuttavia nel giro di poche ore, se gli americani
attaccano, può trasformarsi in un deciso atteggiamento
anti-iracheno) sia parallela a quella del resto dei Paesi
mediorientali e in particolare del Golfo. Tutti quanti nel passato
infatti aderivano con entusiasmo all'idea di veder spazzato via un
leader aggressivo e imprevedibile come Saddam. Ma Clinton ha
dimostrato una sostanziale indecisione nell'affrontare il raiss
iracheno, nonostante l'Onu abbia fornito informazioni abbondanti e
precise sulle riserve di armi chimiche e biologiche. Le ultime
risalgono solo a due mesi fa, quando Butler, il capo della
delegazione dell'Onu, scoprì con l'aiuto di un fuoruscito due
nuovi siti. L'America finora non ha saputo usare né la carota
della fine delle sanzioni né il bastone della prevenzione della
costruzione di nuove armi. E Israele, che bene o male è un Paese
mediorientale, soffre di una crisi di fiducia, proprio come il
Bahrein o l'Arabia Saudita.
Fiamma Nirenstein