ANALISI Hillary, musa di Bill verso lo Stato palestinese
lunedì 14 dicembre 1998 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV
HILLARY Clinton, mentre la notte di sabato scendeva l'ampia scala
dell'Air Force One all'aeroporto di Tel Aviv, aveva qualcosa di
insolitamente preponderante. Il suo linguaggio corporeo, eretto,
potente, quel misto di costruzione sapiente e di spontanea
esibizione di femminilità , splendeva in una serie continua di
sorrisi e persino di risate, a mezzanotte, al freddo della pista,
dopo un viaggio di tante ore e in mezzo a tanti sconosciuti da
salutare cordialmente. Piena di energia nel rivolgere la parola a
questo e a quello mentre, a un passo, Bill portava sul viso i segni
della fatica delle terribili giornate della discussione al Senato,
mancava che toccando il suolo del Medio Oriente si tirasse su le
maniche del tailleur-pantaloni blu e esclamasse fra un inno e
l'altro: "Su, adesso diamoci da fare". Lui era stanco, benché
autorevole; lei un comandante in piena azione.
La mattina dopo, quando ancora non aveva messo il naso fuori
dell'albergo Hilton di Gerusalemme e la gente sotto il cielo grigio
già l'aspettava per applaudirla fuori dal portone, al telegiornale
delle 7 il più famoso tra i commentatori israeliani di cose arabe,
Yehuda Yaari, diceva: "Il vero centro della storica visita di
Clinton a Gaza, lo vedrete inscenato lontano da Arafat e da Clinton
stesso, quando Hillary, accompagnata da Chelsea, visiterà il campo
profughi di Shati o forse quello di Jebalia". Ovvero, il grande
momento del riconoscimento da parte americana delle sofferenze del
popolo di Arafat, il punto di vero contatto tra l'Occidente e il
mondo dei profughi, sarà un messaggio trasmesso a tutti più che
altro da ciò che Hillary dirà o farà . E la radio dei coloni
raccontava una sua storia: "Hillary non ha voluto far sapere fino
all'ultimo minuto il suo programma personale di Gaza. Aveva parlato
vagamente della visita a un'istituzione di carità . E poi,
venerdì , all'improvviso la moglie del Presidente non paga che
l'elicottero americano atterri a Danja (e non ce ne sarebbe nessun
motivo tecnico), non paga di apprestarsi ad ascoltare accanto
all'inno americano "Biladi Biladi" mettendosi sull'attenti di
fronte a un'implicita dichiarazione di piena nazionalità
palestinese... non paga di tutte le bandiere americane legate in un
sol mazzo con quelle palestinesi, va in un campo profughi. E voi
sapete bene - aggiungeva con voce preoccupata e irata il
radio-colono - che i profughi sono proprio la parte più anti-
israeliana del mondo palestinese, quella dove meglio prospera
Hamas. Senza dimenticare che proprio a Jebalia nacque l'Intifada.
Insomma, Hillary è una convinta sostenitrice dello Stato
palestinese e Clinton è diventato il suo paladino".
Il riferimento non è casuale: la radio si riferiva a quando
Hillary Clinton, qualche mese fa, si pronunciò senza mezzi termini
a favore appunto del futuro Stato palestinese. Bill Clinton
commentò la forte uscita della moglie, una delle tante peraltro
che Hillary è solita fare in campo politico, dicendo giustamente
che ogni donna ha il diritto di pensarla a modo suo, senza chiedere
il permesso al marito. Ma nessuno credette che un'uscita così
mirata avesse potuto aver luogo senza il permesso di Bill. Insomma:
Hillary durante questo viaggio appare l'ispiratrice della politica
di suo marito, una politica di decisa qualificazione della parte
palestinese in vista di uno Stato che oggi, a Gaza, vedremo messo
in scena per la prima volta sull'arena internazionale. Ma questo
lungi dal dispiacere agli israeliani che non siano dichiaratamente
di destra incontra molto, invece, il gusto di queste parti. Hillary
è guardata con ammirazione. Ma una società familista e protettiva
come la piccola comunità israeliana non può anche non
preoccuparsi per quell'ombra malinconica che si vede sempre sul
viso. Una bambina di sette anni richiesta di che cosa volesse
chiedere a Hillary, ha risposto diventando tutta rossa: "Vorrei
domandarle perché ha sopportato quello che ha fatto suo marito;
anche se capisco che è un uomo molto carino...". Qualcuno poi deve
averle detto che se si provava a fare una domanda di quel genere,
guai a lei. E infatti, durante l'incontro con bambini arabi e
israeliani a Neve Shalom, è stata data la parola soltanto a una
bambina che aveva da porgere a Hillary delle sapienti domande sulla
pace.
Fiamma Nirenstein