ANALISI GLI SCENARI DI YASSER Arafat e i suoi all'esame di Hamas Se n on ferma gli assassini perde ogni credibilità
venerdì 1 agosto 1997 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO A voler vedere le cose ancora una volta
con un fondo di speranza, forse stavolta si potrebbe dire che è
giunto il tempo in cui Arafat dovrà in un modo o nell'altro dire al
mondo: ebbene, sì , il terrorismo palestinese è un segreto di
Pulcinella, Hamas e i suoi fanatici assassini suicidi non sono
affatto introvabili e nascosti, e adesso la faremo finita con loro,
almeno per un po'. Le bombe di Hamas infatti non vengono mai da sotto
terra, da qualche misterioso nascondiglio situato chissà dove,
vengono invece dai luoghi in cui una volontà politica, un'acqua
sporca in cui i pesci sguazzano li protegge tranquillamente. La
fabbrica di bombe (la più grande mai scoperta in Medio Oriente)
trovata qualche giorno fa, era nientemeno che a Betlemme, ovvero una
zona in cui il controllo di Fatah, la formazione di Arafat, è
fortissimo. È una cittadina attaccata a Gerusalemme, da cui tutti i
giorni vanno e vengono in autobus, in automobile, migliaia di
persone, senza nessun problema. A Hebron l'estremismo si affaccia
felicemente ad ogni istante senza che Arafat dica una parola;
ultimamente è esploso per le strade per giorni interi, poi si è
ritirato nelle moschee (in certe moschee molto ben definite) e nelle
case (anch'esse ben conosciute) e perfino nelle scuole, con l'occhio
benevolo della polizia. E la polizia stessa, con cui Israele ha un
patto di collaborazione appunto sulla caccia ai terroristi, si è
rivelata pochi giorni or sono addirittura il mandante di una serie di
attentati, appunto, terroristici. E certo la polizia ha più libero
il passo ai posti di blocco controllati da ambedue le forze; anzi,
spesso gli uomini in divisa delle due parti si scambiano saluti che
talvolta sono solo corretti, e a volte invece arrivano ad essere
persino calorosi. E Arafat, che ha lasciato che la sua polizia
approfittasse di questo stato di cose fino a diventare un pericoloso
mandante ha aperto, sì , una commissione d'inchiesta, ma si è
limitato a fermare i pesci piccoli. Forse quelli più grossi sono
protetti, appunto, dalle stesse forze che il raiss teme e con cui
tiene comunque un bilanciato rapporto, che cambia di giorno in
giorno. Ancora: il terrorista che questa primavera si è fatto saltar
per aria in un caffè di Tel Aviv, viene da un villaggio vicino a
Hebron e da un gruppo di Hamas che aveva già comunque rapito varie
persone, fra cui anche un povero soldato ritrovato ucciso. Chi vive a
Gerusalemme o in generale in Israele lo sa, lo percepisce, lo vede
nella politica quotidiana: Hamas va in giro indisturbato
nell'Autonomia Palestinese; i suoi uomini subiscono pressioni o
vengono arrestati o incarcerati soltanto in maniera sporadica e
episodica in rapporto a situazioni politiche in cui Arafat deve
semplicemente fornire una merce di scambio per la sua credibilità
internazionale o per la ripresa dei negoziati. Poi, ci sono amnistie,
fughe, insomma la maggior parte torna in libertà . L'Autonomia
Palestinese risulta di fatto, come Israele aveva sempre temuto, una
base da cui provengono gli attentati terroristici con facilità .
Ovviamente, anche se gli attentati c'erano anche nel passato, ora che
gli israeliani se ne sono andati e hanno consegnato le città
all'Autonomia Palestinese, è molto più facile preparare gli uomini
e approvvigionarsi di armi. Tutto questo non può continuare: Gaza,
Hebron, Ramallah, Betlemme, Jenin eccetera, dovrebbero essere ormai
delle città di pace, visto che, almeno esse, sono il pegno
dell'accordo di Oslo, e non delle case matte di Hamas, cariche d'armi
come lo era diventato il Libano meridionale quando Arafat aveva posto
la sua sede a Tripoli. Se gli israeliani devono perdere la loro
sicumera, il loro orgoglio, e Netanyahu deve venire a più miti
consigli, Arafat per parte sua deve finalmente smettere di usare la
violenza come arma di trattativa politica. Fiamma Nirenstein