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Alla ricerca di se stesso, Israele rivive l' incubo

giovedì 6 marzo 2025 Il Giornale 0 commenti
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Il Giornale, 06 marzo 2025

Eyal Zamir ha la forza calma dei tankisti, non quella funambolica dei piloti, o quella smart dei paracadutisti. Ma sono tempi molto diversi. L’esercito deve riconquistare il suo ruolo essenziale, e questo lui è: essenziale. In questi giorni, come mai nella storia di Israele, nemmeno al tempo della guerra del 1973, Israele cerca sé stessa; si è riaperta la ferita del 7 di ottobre, sono stati mostrati al pubblico i risultati paurosi e sconcertanti delle inchieste che l’IDF e lo Shabbach, il servizio segreto interno, hanno condotto autonomamente.

Ne esce un quadro devastante del fallimento di uno dei migliori apparati di sicurezza del mondo. Due sono le voragini aperte: quella dell’incomprensione dell’evento, di cui pure si conoscevano le tessere del puzzle senza però riuscire a comporre il disegno; durante le giornate e la nottata precedente tutto era chiaro e dispiegato, e non si è capito. E poi, la voragine del ritardo di ore e ore che ha lasciato i disperati sopravvissuti nei rifugi a chiedere un aiuto che non è arrivato. A Kfar Aza, dove l’ultimo terrorista è stato eliminato il 10 ottobre. Così sono stati uccisi 64 dei suoi abitanti e rapiti 19 nella terza delle ondate diverse di Hamas preparate con precisione e dovizia di indicazioni strategiche, mentre l’aiuto richiesto alle 6,29 è comparso in minimi termini alle 13, 15; 33 erano stati uccisi nella prima ora; alle 8 c’erano nel kibbutz 250 terroristi; i rapimenti sono avvenuti alle 10, e ancora non c’era nessuno a impedirli. Alle 10,30 un piccolo gruppo di soldati si è trovato uno contro cinque terroristi, le case dei ragazzi sono state distrutte e disseminate di cadaveri. Le forze in campo erano una ignara dell’altra, totalmente scoordinate. La presa e distruzione dell’avamposto di Nahal Oz sul confine,162 soldati di cui 90 senza armi e solo 81 allenati al combattimento, è stata compiuta in tre fasi, alle 6,30 alle 9 e alle 10.

In base a informazioni precise, Hamas sapeva dove tagliare il recinto dove erano le telecamere, quando passava la ronda, dove dormivano i comandanti, dove erano le ragazze, rapite. 53 sono stati uccisi subito. Mentre eroi solitari arrivavano da ogni parte di Israele in aiuto, l’esercito non c’era ancora se non in gruppi autorganizzati. L’aviazione ci ha messo 4 ore a decollare, le truppe, per esempio a Kfar Aza o a Be’eri, non avevano ordini per agire. La Divisione Gaza allo sbando non forniva indicazioni nemmeno quando ormai il disastro era evidente. Nessuno all’alba ha evacuato i tremila ragazzi al festival musicale, anche se dalla notte si sapeva che sarebbero stati a Reim, un’esca da divorare. I kibbutz erano attrezzati come fossero in Toscana e non attaccati a Gaza, a Kfar Aza per esempio, tutte le armi erano state volontariamente rinchiuse in un ripostiglio. Bambini, anziani, famiglie assediati nei rifugi hanno chiamato i numeri di emergenza per decine di ore. Dunque lo Shabbach e Aman, i servizi dell’esercito, non avevano informazioni? In realtà ne avevano a bizzeffe, ma le hanno snobbate per via della “conceptia”, un misto di prosopopea, pacifismo, presunzione; “Hamas non vuole la guerra, con noi non ce la può fare e lo sa, ha perduto dal 2008 al 2021”. Eppure si sapeva bene che Hamas allenava masse lungo il recinto, che le gallerie crescevano e i finanziamenti iraniani e del Qatar finivano in armi, e anche che Sinwar seguiva la politica e la spaccatura interna di Israele.

Eppure tutti i passaggi delle notizie di quel giorno dall’uno all’altro comandante ripetono che sì, c’è traffico, ma Hamas non vuole la guerra né tantomeno un’invasione territoriale. I vertici sia dello Shabbach che dell’esercito, durante la notte prima dell’invasione aveva saputo che migliaia di terroristi si stavano radunando in battaglioni ordinati e pronti all’attacco con le auto e i kalashnikov, che d’un tratto avevano acceso le SIM israeliane. Il capo di Stato maggiore Herzi Ha levi è stato avvertito alle 4,00 di notte, ma, come i suoi, ha deciso di rimandare al mattino. Persino l’ex ministro della difesa Yoav Gallant ha raccontato che sua figlia l’ha svegliato chiedendogli perché si bombardavano Tel Aviv. Netanyahu non fu svegliato. È dura. Israele cerca consolazione nei magnifici, incredibili eroi che sono corsi da ogni parte del Paese a difendere la gente aggredita, e hanno salvato il Paese. Da allora si combatte su sette fronti con successo, ma il 7 ottobre è ancora qui, il popolo ebraico affronta sempre una nuova avventura. Ancora.      

 

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