ALLA RICERCA DELL’ ACCORDO DIFFICILE: FINE DELLA VIOLENZA E RINUNZIA A GERUSALEMME « Arafat, io la pace la farei così ...» Le condizioni di Netanyahu, candidato ombra
venerdì 12 gennaio 2001 La Stampa 0 commenti
BIBI Netanyahu sta a Sharon, in questa incredibile tornata
elettorale
israeliana, come Peres a Barak. Ovvero: tutti sanno che se avesse
deciso di
correre, sarebbe lui, con tutta probabilità , il prossimo primo
ministro
d’ Israele. Così come tutti sanno che mentre Barak è il candidato
della
sinistra, l’ unico che forse potrebbe farcela è Peres. E Bibi, in
questo
ruolo di vincitore in pectore, si trova benissimo. Ieri, quando ha
incontrato alcuni giornalisti, si godeva il privilegio di dire la sua
senza
pagare pegno.
Signor Netanyahu, Sharon se eletto sarà terribilmente inviso al
mondo
intero: se la sente di fare la campagna elettorale per l’ uomo di
Sabra e
Chatila?
« Attenzione: la commissione che lo doveva giudicare disse che Sharon
non
solo non fece nulla di male, ovvero che furono le milizie maronite ad
agire
nell’ 82, ma anche che non sapeva nulla di ciò che si preparava. Disse
invece
che ‘ ’ avrebbe dovuto sapere’ ’ . Uno strano modo di giudicare» .
Quali sono le concessioni che lei è pronto a fare per la pace?
« Rovesciamo il discorso: il primo ministro uscente ha fatto
concessioni
gigantesche, inimmaginabili. E in cambio ha ricevuto proiettili.
Arafat non
è stato un partner, ma solo un nemico. Ora, per sedersi al tavolo,
prima di
tutto pretenderei che non si tratti sotto il fuoco. Non si tratta in
un
clima di violenza, di continui attentati terroristici. E poi, io gli
direi:
innazitutto dì ai tuoi, ai palestinesi, in arabo, che vuoi veramente
fare la
pace con me, con Israele» .
Arafat dice che per fare la pace occorrono alcune condizioni
fondamentali
,fra cui la divisione di Gerusalemme e la consegna del Monte del
Tempio.
Cose che lei ha già detto in svariate occasioni che per lei sono
impossibili.
« Prima di tutto, io riconosco, certo, che Gerusalemme è importante
per il
mondo musulmano, ma non c’ è neppure un paragone con quanto essa sia
fondamentale per il mondo ebraico. Il suo nome è ripetuto 700 volte
nella
Bibbia, il Sionismo si chiama così per via del Monte Sion, ovvero
Gerusalemme; dai vari esili, da Babilonia, da qualunque altro posto,
gli
ebrei tornavano sempre qua; senza la memoria, la storia, senza
l’ attaccamento plurimillenario a Gerusalemme, non saremmo noi stessi.
Certo
lo stesso non si può dire dell’ Islam» .
Non è molto utile questa gara, nel momento in cui Arafat dice che
Gerusalemme è indispensabile
« Sarà indispensabile, ma non alla fine del conflitto. La verità è che
non
c’ è nessuna dimensione territoriale e neppure religiosa che possa
porgli
fine: la vera passione dei palestinesi non è la Spianata, ma il
diritto al
ritorno. L’ idea di rovesciare, facendolo scoppiare dal di dentro, il
corso
della storia.Non a caso proprio ora, proprio quando le offerte
territoriali
avevano superato ogni aspettativa, è tornato a tutta forza l’ idea che
più di
due milioni di persone debbano entrare in un Paese di meno di sei
milioni di
abitanti» .
Però nessuno come un ebreo dovrebbe capire la sofferenza di chi ha
vissuto
in esilio.
« Infatti ci possono mettere in atto misure di ricongiungimento delle
famiglie. I profughi tuttavia ci sono stati da una parte e
dall’ altra: non
dimentichiamoci che un numero di ebrei non molto minore di quello dei
palestinesi che se ne andarono di loro volontà o furono in parte
cacciati,
scappò dai paesi arabi in Israele. Sono stati tutti risistemati. Così
è
avvenuto a una quantità di altri profughi in Europa e nel mondo. Il
caso
palestinese è stato mantenuto, nessuno li ha accolti per farne un
problema
politico che mantenga viva l’ idea della cancellazione d’ Israele» .
Non ha ancora detto qual è la sua chiave per la pace.
« Una sola parola: reciprocità » .