Al Consiglio palestinese un leader ferito ma che vuole dare battaglia Arafat, l'autunno dell'eroe Attaccato da Hamas e accusato di torture
mercoledì 7 agosto 1996 La Stampa 0 commenti
RAMALLAH. Com'è triste Arafat. Pallido, arriva a Ramallah ieri per
il Consiglio nazionale: simula un balzo agile, giovanile, per i
nostri occhi di giornalisti avidi di capire se abbiamo di fronte
l'antico eroe nazionale palestinese, l'adorato simbolo
dell'indipendenza, o un nuovo piccolo tiranno mediorientale. Ha
compiuto 67 anni due giorni or sono; ma ha annullato la grande festa
che era stata organizzata a Gaza per celebrarlo. Troppi guai, troppo
mal di testa. Arafat sale le scale del secondo Consiglio nazionale
palestinese dedicato ai problemi dell'abuso di potere delle sue forze
armate e dei suoi poliziotti, degli omicidi in carcere degli
oppositori, delle loro torture. Ed è anche il quarto o il quinto
Consiglio in cui gli 88 membri eletti ribollono (anche i suoi, gli
uomini del Fatah) di domande sui rapporti fra Parlamento e esecutivo,
fra diritto di base (che non c'è ancora) e potere legislativo, fra
potere politico e potere giudiziario. Insomma, Arafat ha così a
lungo proclamato la sua propensione per la democrazia, l'ha
propagandata a casa sua e in tutti i consessi internazionali; adesso,
nello sfrangiato lembo di Medio Oriente che è diventato suo, dove
come in tutti i Paesi arabi il potere è soprattutto una questione di
forza, gli viene presentato il conto. Dai suoi, e dal mondo. Perché ,
come accade in gran parte del mondo musulmano, di fatto, per
preservare il Processo di pace che è l'unico che alla lunga prometta
democrazia, Arafat, paradossalmente, usa la maniera forte contro
integralisti islamici, Hamas e Jihad e oppositori estremisti di ogni
genere. Nel tempo breve essi sono le vittime della mancanza di
democrazia. Nel tempo lungo, dovessero vincere, sono quelli che della
democrazia non saprebbero proprio che farsene. Tenderebbero a
ristabilire la guerra aperta con Israele, a sottoporre il mondo
palestinese alla legge islamica più stretta. Arafat siede dunque da
solo al tavolo di destra, presiede l'assemblea l'elegante raffinato
Abu Allah, il grande mediatore del processo di pace. Arafat parla con
rabbia del nuovo asse Netanyahu-Re Hussein, che tende a mettere da
parte i palestinesi. Ma tutti i convenuti, compresi Hanan Ashrawi,
Abdal Jawad Saleh, Nabil Shaat, Saè eb Erahat, alcuni fra i membri
del nuovo governo composto da 22 persone, pensavano a due nomi, a
quelli soltanto: Mahmoud Jumayal, Ibrahim Hadayeh. Due assassinati
dalla polizia di Arafat. Dopo tanti casi, questi sono i più recenti
e più tragici scivoloni del suo potere. Il primo aveva 26 anni, un
ragazzo del Fatah, un tipo troppo vivace politicamente, facinoroso e
attivo, parte del gruppo dei . Quando la polizia di
Arafat l'ha ammazzato dopo averlo torturato nella prigione di Juneid,
il giornale Al Bilad ha riportato la foto del suo corpo straziato con
segni di ferri infilati nel costato, e di bruciature orrende. In
genere la polizia e i servizi segreti erano stati già denunciati per
violazione dei diritti dei prigionieri accusati di collaborazionismo,
di connivenza con gli israeliani. Ma stavolta non è così : Jumayal
aveva un gruppo che svolgeva attività che da noi sarebbero giudicate
criminose, estorsione ai danni di ricchi commercianti di Nablus che
non pagavano le tasse. Inoltre non gli piacevano i molti, moltissimi
nuovi arrivati da Tunisi, o comunque dall'esilio palestinese,
richiamati da Arafat e presto divenuti lo scettro del suo potere. Era
stato imprigionato in dicembre insieme ad altri membri del suo
gruppo. Perché poi, dopo sette mesi di detenzione, sia divenuto il
settimo assassinato nelle prigioni palestinesi, non si sa. Nelle
ultime ore, si sta ipotizzando che Jumayal secondo la recente
deposizione di un suo compagno, avesse incontrato il terribile nemico
di Arafat Ahmed Jibril, e forse persino il terribile Abu Nidal a
Cipro, e che avesse comprato armi in Israele. Noi non lo sappiamo.
Fatto sta che giovane, pallido, baffuto e intrepido, spavaldo e
minaccioso, era un esempio per la gioventù di Nablus, che dopo la
sua morte si è rovesciata nelle strade a protestare contro Arafat. E
a Tulkarem, venerdì scorso, durante un'altra dimostrazione di
protesta, la polizia col grilletto facile ha sparato uccidendo un
altro giovane, Ibrahim Hudayeh. , dice il ministro per i
Poteri locali, uno dei capi carismatici interni dell'Intifada, Sà eb
Erakat,
stiamo discutendo dolorosamente. Come potete però richiederci di
essere eguali a una democrazia stabilitasi duecento anni fa? Come
potete chiederci di aver già perfezionato i nostri sistemi di
sicurezza, di averne già delimitato i poteri? È accaduto già
alcune volte, d'accordo, che il nostro sistema sbagliasse; ma noi
rifiutiamo i suoi errori, noi ne diamo conto, e questo dovrebbe già
essere una garanzia sufficiente a far capire al mondo che
l'oppressione presso i palestinesi non avrà corso. Ma Arafat non ha
un potere eccessivo, sovrastante, quasi senza fine? Non è forse un
dittatore? Si dice che nessuno può neppure andare in licenza o
all'ospedale dai servizi militari e di polizia senza una lettera
firmata da lui personalmente.
delimitati, e per questo abbiamo fatto le elezioni. Per questo
permettiamo le dimostrazioni. Per questo svolgiamo adesso queste
riunioni del Consiglio Nazionale. La democrazia è nei nostri piani,
è nel nostro futuro, anche se non è ancora pienamente realizzata.
Lo capite che dobbiamo realizzarla? Organizzarla? Lo capite anche che
è difficile?. Nabil Shaat anche lui ministro, di fatto il vice di
Arafat, anche lui un grande uomo di mondo, vestito di color beige,
abbronzato, il cranio liscio, sempre sorridente, di quelli il cui
solo aspetto fa pensare alla grande avventura internazionale
dell'educazione palestinese laddove in questi anni non ha potuto
annidarsi l'estremismo e il terrorismo così risponde:
che chi è venuto dall'estero non capisce che cosa accade qui; che si
trova ancora mentalmente a Tunisi o a Beirut, lontano dalla Palestina
ed è quindi prepotente ed ostile alla sua gente, ai suoi costumi
locali. Anche chi è stato lontano, fa pur parte della nostra più
legittima storia di liberazione nazionale. Da dove viene dunque
fuori la violenza e la tortura agli oppositori? Da una tendenza
personale antidemocratica di Arafat? Della società musulmana? Del
vostro gruppo dirigente?
Stiamo lavorando per limitare i poteri delle nostre forze di
sicurezza, per garantire assistenza legale immediata ai prigionieri,
per impedirne la tortura. Quindi non metteteci subito sotto accusa. E
sappiate che finché le leggi non ci sono, è difficile evitare di
violarle. Arafat è sotto osservazione da parte del mondo e da parte
dei suoi come mai prima. E Arafat ha anche alle spalle un Consiglio
Nazionale che, a fronte di una società ancora povera e confusa, è
tuttavia ricco di un'elite di personaggi speciali, colti, decisi a
battersi. Peccato che fra di loro, tuttavia, nessuno sia ancora
cresciuto fino al rango di delfino. dice Abd Al Jawad
Saleh, ministro dell'Agricoltura, ma anche legislatore e capo di
tante campagne anticorruzione
indipendente, una Costituzione che separi i poteri. Da noi tutti i
giuochi che si svolgono oggi nei Paesi arabi non potranno avere
luogo. Il potere giudiziario e la Corte Suprema non avranno nessun
obbligo verso questo o quel leader. Fiamma Nirestein