AL CONFINE CON GAZA L’ ESERCITO ISRAELIANO SI PREPARA ALLO SGOMBERO « Perché dai la mia casa a chi mi ha ucciso i fratelli?» Il duplice fronte: psic ologi contro le accuse dei coloni, filo spinato contro i palestinesi
venerdì 29 luglio 2005 La Stampa 0 commenti
inviata al confine di GAZA
Flessibilità , efficacia. Queste due parole, motto del lavoro di preparazione
dell'esercito israeliano prima dello sgombero, descrivono lo spirito di
questi giorni mentre percorriamo la strada di confine fra Nissanit, che tra
poco apparterrà ai palestinesi, e Netivei Ha asara, il kibbutz che resta in
Israele dall'altra parte del recinto di filo spinato. Ovvero dei tre recinti
di filo spinato dotati di ogni tipo di diavolerie tecnologiche. Le parole
descrivono anche la potenza dell'esercito israeliano, che si avvia a una
nuova grande sfida, sia sul fronte dei coloni che su quello palestinese.
La novità essenziale che apprendiamo al confine di Gaza, nella base
operativa che prepara gli scenari dello sgombero del 17 agosto, la cui eco
politica spezza dolorosamente il Paese, è che si sta costruendo in gran
fretta un recinto su tre linee. Nel timore di un attacco massiccio del
terrorismo quando il confine resterà privo del cuscinetto degli
insediamenti, Israele rinforza le difese. Invece di un recinto come quello
attuale, che corre lungo la Linea verde, chiamato Hoover (ogni luogo viene
denominato con un titolo che lo designa sulle mappe militari) ci saranno due
Hoovers, più un lungo rotolo di filo spinato.
Tutte e tre le barriere, in gran parte completate, si trovano dalla parte
israeliana. Chiamando Hoover A il recinto già esistente, un tessuto di filo
spinato punteggiato di impianti tecnologici e torri di controllo, abbiamo
sessanta chilometri di separazione che corrono lungo la Linea verde. A venti
metri da questo, verso la linea verde, viene già disteso un lunghissimo
rotolo di filo spinato; invece dalla parte interna del Hoover A, a cento
metri circa, si sta costruendo un Hoover B. A che servono le tre barriere? A
guadagnare tempo, usando lo spazio e un’ enorme dispiegamento di mezzi
tecnologici messi in atto per l'occasione. Se qualcuno entra nello spazio al
di qua delle ruote di filo spinato (che, ci viene spiegato, servono a
evitare il terrorista suicida che si lancia dritto sulla postazione
militare) subito i mezzi di segnalazione, telecamere, palloni sospesi,
verificano di chie si tratta: se è qualcosa di pericoloso, parte la
ricognizione dalla seconda barriera, che prevede ulteriori verifiche
elettroniche, ma anche lo spostamento di truppe o degli spari di
avvertimento; la pericolosità effettiva e quindi l'ordine di intervenire con
le armi scatta se qualcuno si approssima al Hoover B, dotato ogni chilometro
e mezzo di torri di controllo prive di soldati.
Il nuovo sistema, dotato anche di mezzi corazzati mobili attrezzati,
consente un'osservazione molto più profonda di quella attuale. Negli
agglomerati sull'orlo del nuovo confine, 45 fra kibbutz e moshav, gli
abitanti - tutta gente che lavora la terra - sono molto spaventati,
soprattutto pensando ai Kassam che sono già piovuti a migliaia: a seconda
della loro posizione disporranno di rifugi casa per casa o solo per le
strutture pubbliche. Il tutto avviene a un ritmo frenetico, la data si
avvicina e, al di là della cronaca, qui si avverte che la svolta è storica,
si capisce cosa vuol dire sgomberare al di là dello scontro politico
interno.
Ci lasciamo alle spalle una nuova enorme base a Re'im, una tendopoli che
però si sta dotando anche di strutture definitive sul bordo di Gaza: fra
lunghe file di tende e molti moscerini sono stati radunati già da settimane
migliaia di soldati, mezzi di trasporto, cucine gigantesche, docce e
gabinetti a schiera e sale da pranzo in bianche tende dove soffiano sgarbati
i condizionatori in un'inutile battaglia. Più avanti, fra le dune, sotto le
antenne, grossi nidi di magmash, ovvero mezzi corazzati bassi e impolverati,
pronti a muoversi per ogni evenienza. Percorriamo la strada che costeggia il
Nord di Gaza: fra cespugli di macchia mediterranea sulla sabbia gialla, il
mare in fondo, il paradossale scenario pastorale di Nissanit, Alei Sinai, e
Dugit, che saranno i primi insediamenti a essere smantellati: casette
bianche con giardini curati, altalene, scivoli per i bambini, e la
distruzione che aleggia misteriosa su tutte quelle case ancora abitate.
Si costruisce sulla strada, e dai lavori emana una enorme fretta. La potenza
di Tzahal in queste ore è quasi tutta volta a preparare lo sgombero, ed ecco
la costruzione di tre diversi recinti, tutti di filo spinato e antenne salvo
che per un chilometro al passaggio di Erez (solo qualche settimana vi fu
presa una terrorista suicida carica di tritolo) perché il kibbutz Netivà
Assarà , dentro la Linea verde, è a 20 metri dal nuovo confine.
« Flessibilità » , però , vuol le due ipotesi che fanno la storia del mondo: la
pace o la guerra. Efficienza significa saper fronteggiare l'ipotesi che Gaza
diventi una casamatta di terroristi e la base di lancio di centinaia di
missili Kassam su Ashkelon o Ashdod. Pace, vuol dire « è andata bene» , vuol
dire spostare le barriere di difesa ed essere pronti a incrementare commerci
e relazioni. Per questo le barriere sono tutte mobili e leggere. L'ipotesi
della pace la si vede anche dalla rapidissima costruzione di un terminal da
cui dovrebbero passare giorno per giorno decine di migliaia di commercianti
e agricoltori. Sono previsti anche negozi e ristoranti. In un orecchio ci
viene sussurrata l'ipotesi addirittura di una grande stazione ferroviaria
che potrebbe essere il punto di partenza del passaggio libero alla West
Bank.
Però l'ufficiale che mi accompagna aggiunge: « Per ora non abbiamo ragione di
pensare che lo sgombero porterà la calma» . Quello che è più evidente è
l'enorme preoccupazione espressa anche da Sharon a Parigi in questi giorni,
che gli Hezbollah cerchino un'alleanza con Hamas per fare di Gaza una base
attiva dell'integralismo islamico più oltranzista, l'ansia per
l'importazione di armi dall'Egitto e dal mare, per il dislocamento di un
numero maggiore di lanciamissili per i Kassam.
L'esercito dunque si prepara al giorno dopo in due modi: in una base a pochi
chilometri da dove è iniziato il nostro giro, sperimenta in uno scenario di
cartone non solo lo sgombero fisico dei coloni renitenti, ma le modalità :
come parlare loro, come afferrarli senza fargli male, come rispondere a
eventuali esplosioni di violenza, e persino come comportarsi nel caso del
rapimento di un soldato. Tutto viene previsto e discusso da un punto di
vista psicologico e fisico, la pressione è immensa e dolorosa: i ragazzi
che, diciassette per casa, si avvieranno allo sgombero senza armi, con un
autobus per le persone e un container per le masserizie, si allenano con lo
psicologo a essere fronteggiati per ore da ragazzini e bambini che gli
urlano a un centimetro dal viso: « Soldato perché trascini via dal suo letto
mia madre? Pensa se la tua mamma venisse privata della sua casa, non capisci
che la colpa ti perseguiterà per sempre? Cosa ti ho fatto di male? Perché
vuoi dare la mia casa a chi ha ucciso i miei fratelli?» . L'ordine è : « Siate
gentili, non reagite con osservazioni personali e politiche. Direte: “ Mi
dispiace, sono qui in nome dello Stato d'Israele” e poi se accettano,
aiutateli a separarsi dalla loro casa senza fretta; altrimenti, si proceda a
portarli fuori; andate fino in fondo» . Tecnologia e psicologia: questo è
quello che può uno stato moderno. Non è molto.