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A tarda notte il ministro Sharon propone un "governo di emergenza naz ionale" e invita la sinistra a farne parte "L'anno prossimo fuori dal mattatoio del Libano" La promessa di Netanyahu e del leader laborista Barak agli is raeliani dopo l'ultimo attentato

mercoledì 3 marzo 1999 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO Da ieri, comunque vadano le prossime elezioni, si sa che Israele, in un modo o nell'altro, lascerà la fascia meridionale del Libano. Lo ha promesso il leader dell'opposizione Ehud Barak, e in fondo in questo non ci sarebbe niente di strano. Ma, quel che è straordinario, lo ha annunciato quasi contemporaneamente anche il primo ministro Benjamin Netanyahu: "Entro un anno ce ne andremo". Nelle parole di Netanyahu c'è anche la polemica per quella che a lui sembra una faciloneria elettorale di Barak, visto che il premier ha tenuto a minacciare di nuovo terribili rappresaglie a ogni attacco degli Hezbollah, e anche ad avvertire che non se ne andrà senza condizioni, lasciando i cittadini del Nord in balia delle katiusce. Ma la sostanza è molto chiara, sia nel caso di Barak sia in quello di Netanyahu: il fronte israeliano interno è ormai spezzato dalla fatica di questa guerra di confine che falcia da più di vent'anni giorno dopo giorno centinaia di vite di ragazzi di leva; la gente è sconcertata dalla constatazione che un prezzo così spaventoso si debba pagare senza avere niente in cambio, solo per rimandare una decisione che prima o poi dovrà essere comunque presa. Israele sa benissimo, e anche Netanyahu lo sa, che tutta la discussione sul ritiro unilaterale è quanto meno parziale e temporanea, se non inutile. Se anche Israele se ne andasse, infatti, gli Hezbollah seguiterebbero a combattere, dato che l'unica possibilità di ottenere la pace al confine è per Netanyahu, o per chi lo sostituirà , quella di trattare con la Siria, e cedere le alture del Golan in cambio della quiete di cui solo Damasco, vera padrona del Libano, dispone. A tarda notte la radio israeliana ha lanciato la straordinaria notizia che il ministro degli Esteri Sharon avrebbe proposto un governo di emergenza nazionale invitando la sinistra a farne parte. Un governo in grado di affrontare la complessa situazione di Israele rispetto al Libano e al problema dei palestinesi. Inoltre avrebbe suggerito di posporre le elezioni. Da quando in due settimane sono morti sei soldati e un giornalista al fronte, le radio e le tv sono state inondate da voci femminili. Sono le madri che reclamano il ritorno dei loro figli a casa: "Non dormo più da anni; quando mio figlio viene a casa lo guardo già come un morto che cammina; non esisto più ; lavoro, cucino, faccio l'amore con mio marito come un automa. Che cosa ha che fare con la mia vita il fatto che il mio ragazzo ora sia nel buio della foresta sulle montagne del Libano, con la faccia dipinta di nero mentre aspetta il suo assassino?". Le madri degli Hezbollah, anche se certo soffrono, non vanno in piazza, non chiedono ai capi di portare a casa i loro figli. Una democrazia invece non può mai essere in guerra fino in fondo, se non per brevi periodi. Anche il presidente Weizman si è detto "sicurissimo che il prossimo primo ministro, chiunque sia, debba uscire da questa trappola". E i due leader più importanti hanno risposto: "Sì ". Di fronte a tanta buona volontà e col prezzo terribile che in questi giorni è stato pagato in termini di vite umane, l'esercito è serrato in un'ulteriore crisi psicologica. Vari ufficiali, e anche soldati di leva, proprio nel giorno del funerale di Erez Gerstein, il generale trentottenne morto al fronte, si sono fatti vivi per protestare che l'irruzione dei genitori e della società in generale nella loro vita al fronte li rende demotivati, sconcertati. Si sentono in sostanza disapprovati proprio da quella gente per difendere la quale essi muoiono, e che dovrebbe sostenerli con tutta se stessa. Insomma, Israele non sa più offrire la consolazione che in genere si offre a un fronte in guerra, ovvero un patriottismo spesso di maniera, tronfio e parolaio. Anche Netanyahu se n'è dovuto accorgere. Fu questo il fenomeno che portò alla pace con i palestinesi, e probabilmente ora è la volta del Libano, ovvero della Siria. Fiamma Nirenstein

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