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A PROPOSITO DEL CORANO A SCUOLA PIÙ STORIA, MENO DOTTRINA

venerdì 3 settembre 1999 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein SUONA da una parte come un’ esortazione, dall’ altra come un avvertimento, il discorso di monsignor Alessandro Maggiolini, vescovo di Como, che ci invita, come comunità nazionale, a occuparsi del futuro dei musulmani in Italia, quando « diventeranno vera forza sociale» ; quando, dato l’ alto tasso di natalità del gruppo, saremo di fronte alla crescita verticale della loro presenza, alla loro accresciuta integrazione economica come forza lavoro qualificata. Sono tutte osservazioni proprie, come lo è quella della necessità di prendere in considerazione anche il fatto che vorranno osservare il loro venerdì di festa, e imparare il Corano a scuola. Ma qui, s’ impongono svariate osservazioni. Monsignor Maggiolini propone, e non potrebbe essere diversamente, l’ espressione della sua cultura, una cultura concordataria: la religione, il suo insegnamento, la sua presenza a scuola sotto la sorveglianza diretta della Chiesa, come uno degli elementi di accordi fra Stato e Stato. Abbiamo il Vangelo a scuola? Ci vuole anche il Corano, e sottoforma non di insegnamento della cultura della religione, se la storia e la logica hanno un senso, e come sembra proporre dalle nostre pagine anche Giorgio Calcagno, ma invece di apprendimento dottrinario, così come ora apprendimento dottrinario è quello della religione cattolica e anche di quella ebraica. Ed è logico che sia così : poiché la nostra Costituzione impone l’ eguaglianza dei cittadini, finché tu avrai diritto alla tua dottrina, anch’ io avrò lo stesso diritto alla mia, ed egli alla sua. Assai meglio dunque sarebbe che al momento in cui si impone una visione pluralistica della fede a causa della presenza di tanti religioni nel nostro Paese, si possa finalmente rivedere l’ idea della religione a scuola come dottrina con la sovrintendenza del vescovo (e quindi del rabbino e in futuro anche dell’ imam) per sostituirla con lo studio dell’ influenza religiosa (enorme, pervasiva, senza conoscere la quale nulla si comprende) sulla storia intera, l’ arte, la letteratura, i costumi, le guerre, i sentimenti nazionali. Questo ci consentirebbe anche di mantenere un sacrosanto sentimento critico, che ci pertiene, e di cui anzi abbiamo il dovere, nei confronti di una cultura religiosa come quella islamica, che per quanto dotata di caratteristiche molteplici non ha dato finora vita a un Paese democratico e che non pratica e non predica l’ uguaglianza fra uomini e donne, fra religione e religione; in una parola quindi, non può e non tenta di accogliere il nostro dettato costituzionale, derivato dalla translitterazione laica della civiltà giudaico-cristiana. Nella storia come nella vita il miglior regalo che possiamo fare agli altri è quello di essere integralmente noi stessi, senza generare equivoci per paura o per compiacenza.

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