A Gerusalemme tra amarezza e sollievo Esultano gli ultrà ma c’ è a nche chi piange la pace FIRMAXXXXreportage Fiamma Nirenstein
mercoledì 26 luglio 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
E' il giorno della tristezza, della disillusione per questa povera
città ,
Gerusalemme, 17 volte distrutta dagli scontri bellici fra le
religioni, più
volte rasa al suolo dai terremoti, maledetta dalle eccessive
benedizioni che
senza risparmio le prodigano ebrei, mussulmani, cristiani. L'hanno
voluta
così ,i figli di Abramo, troppo bella per essere fatta di uomini
invece che
di pietre, troppo intelligente e spirituale per vivere la propria
vita di
città normale, con i banali problemi del traffico e
dell'inquinamento: e ora
giace disillusa e struggente, stesa sulle sue colline dal Monte degli
Ulivi
a Beith Hanina, dal Museo Rockfeller alla Moshavà Germanit a Rehavia
a Baca.
Nel centro si scorge, dopo che Clinton ha alzato le mani a Camp
David, la
Città Vecchia al tramonto, dopo una delle solite giornale di
terribile
calura: i preti del Santo Sepolcro, i rabbini del Muro del Tempio
sono senza
parole,la città è incredula di sé stessa, di essere rimasta
egualmente
conflittuale, confusa, divisa eppure unita dopo tanti giorni di
colloqui,
sorrisi, pacche sulle spalle. Marwan Barghuti, uno dei leader di
Fatah
ripete che nessuno avrebbe mai dovuto pensare che Arafat avrebbe
accettato
un patto che non comnprendesse la Città Vecchia. Ma nello stupore che
troviamo all'Orient House, il quartier generale palestinese a
Gerusalemme,
lo sconcerto è tale da assomigliare a uno stato di shock. Feisal
Husseini di
mattina, di fronte alla Porta di Damasco, annunciava con l'aria del
padrone
di casa grandi cambiamenti. Adesso è sparito, non parla. Altri
dell'entourage palestinese escono nel giardino del castelletto di
pietra con
l'aria stupefatta: « Solo Arafat, per il quale abbiamo preparato una
grande
manifestazione di sostegno domani, può dire l'ultima parola» . Ma
l'ultima
parola è in fondo a un pozzo, è sprofondata nella notte. La verità è
che in
giro, nelle botteghe di Salah Din la strada principale di Gerusalemme
Est,
nel rumore del traffico, fra i colori delle spezie e il loro profumo
sospiri
e esclamazioni parlano della paura di prossime violenze ,e anche del
sollievo di alcuni che per motivi politici o semplicemente per amore
di una
vita moderna non amano la leadership di Arafat, né la prepotenza dei
suoi
bravi. Parla chiaro dando dignità a questo sentimento il professore
palestinese di antropologia Ali Klebo nella sua fresca casa di
Shuafat, uno
dei quartieri che erano destinati all'Autonomia: « In verità , mi sento
sollevato. Penso che un nuovo e più franco rapporto fra i due popoli
sia
cominciato, che punti sensibili fino all'ineffabile sono stati
esplicitati,
che si sia passati dalle bandiere alle persone, e che così ci sarà
più tempo
per ambedue le pareti per non fare sciocchezze. Non penso che ci sarà
un'esplosione di violenza. A Shuafat c'è ancora aspettativa per il
futuro» .
Dal loro trono nella Moschea d'Oro i mufti invece prevedono che il
futuro,
come il passato, come il presente, non possa che essere di guerra.
Come ha
detto Ekrima Sabri: « L'unica verità è che non esiste nessun'altra
soluzione
che quella che il potere palestinese, e solo quello, debba governare
questa
zona» . I religiosi di Hamas assentono, e non sono pochi.La parte
ebraica
moderna è la più depressa, perché sa che Barak ,per il mandato
ricevuto e
per la sua ispirazione personale, di soldato e di uomo di kibbutz,
era il
migliore messaggero possibile dei giovani intellettuali, delle
vecchie
signore austriache con i guanti d'estate e i mariti attaccati al
braccio che
a Gerusalemme adesso davanti al teatro prima del concerto scuotono la
testa
nel buio: « Abbiamo aspettato tanto per vedere la pace, e chissà cosa
succederà adesso» . David Cassuto l'architetto fiorentino che è stato
vicesindaco di Gerusalemme e che non è certo un uomo di sinistra,
pure è
triste nel suo studio: « Sono stupefatto, incredulo che Arafat abbia
potuto
pensare che ce ne saremmo potuti andare oltre i confini del 67,
lasciare la
Città Vecchia che è il cuore dell'idea nazionale stessa di Israele.
Ero
spaventato, molto spaventato che Barak desse via tutto quello che
aveva
messo in programma: quasi tutto il West Bank, gran parte di
Gerusalemme. Ma
mi spaventa di più che Arafat non abbia capito niente di noi» .
Un religioso prega felice di fronte al Muro del Pianto, è stato
esaudito
nelle sue preghiere, e dice alla cronista fra il generale consenso:
« Gerusalemme non è , non potrà mai essere oggetto di trattativa, non
può
essere smembrata da nessuno: essa appartiene alle generazioni a
venire, e
questo è un segno divino» .
Di fronte al liceo Sperimentale, dove dopo la scuola accendono le
luci i
pub, i ristoranti della zona pedonale un gruppo di ragazzi resta
stupefatto
alla notizia della rottura dei colloqui. Un ragazzino scuro che si
chiama
Yshai e porta l'orecchino mi fa un largo sorriso di consolazione: « Lo
dico
sempre, io. Dovrebbero scrivere più canzoni di pace i ragazzi
palestinesi» .