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A Gerusalemme, recensione de Il Foglio

giovedì 1 marzo 2012 Generico 0 commenti

Il Foglio, 1 marzo 2012 di Giulio Meotti

Nello scenario della notte dei tempi, Urshamen, Urusalim diventa Yarushalem, Yerushalyim o Gerusalemme nella sua eccezione attuale. Il libro vuol essere un omaggio, intimo e ideologico, politico e biografico, al pezzo più nobile e vitale dell’identità ebraica. Senza Gerusalemme Israele non esisterebbe. Quando negli anni fra il 2000 e il 2005, con l’Intifada palestinese del terrorismo suicida, ogni angolo della città si era trasformata in una trappola mortale per la popolazione, parve materializzarsi un’altra cacciata degli ebrei da Gerusalemme, come quella compiuta dai Romani.

Giornalista, commentatrice e parlamentare, Fiamma Nirenstein parte da lontano, dai meandri sotto il Monte del Tempio e delle tombe nella valle dei Re, per arrivare a oggi, al rigetto arabo, alla guerra per la contesa della città, allo scontro religioso ed etnico, alla delegittimazione mondiale, al jihad. Non c’è soltanto la guerra al confine, come nel 1967 o nel 1973, ma anche la guerra alla porta di casa. Casa per casa. Strage dopo strage.

La Gerusalemme che venne definita “capitale mondiale degli attentati suicidi”, sventrata in tanti suoi angoli e in cui “tutto ero lo specchio della diserzione della coscienza collettiva da ciò che si trova fuori dai confini, dell’incredibile gelo dell’umanità verso i morti, i feriti, i perseguitati ebrei”. Il libro è una lezione a chi predica la divisione di Gerusalemme – la chiesa, l’Unione europea, e ultimamente gli Stati Uniti – senza pensare al bene della città che dal 1967, anno della sua riunificazione, è fiorita per ogni sua fede.

Questa Gerusalemme è capitale e confine al tempo stesso. Oltre i villaggi bianchi dei palestinesi c’è la Giordania, e dietro c’è la Siria, e poi l’Iraq, e poi l’Iran. Ramallah comincia a una fermata dell’autobus della Giv’at Tzarfatit, che è saltata per aria una decina di volte, facendo tanti morti. Eppure il continuo esplodere di Gerusalemme, la sua lenta condanna a morte, ne rispecchia e ne magnifica la vita, celebrata magnificamente dal libro di Nirenstein.

Così ci sono i caffè con i loro intellettuali, i poveri e i borghesi, le fermate degli autobus e gli scavi archeologici, gli etiopi e i marocchini, e una casa a Gilo, bersagliata giorno e notte dai cecchini arabi e che mezzo mondo chiama, stupidamente, “settlement”. C’è soprattutto, spalmata in ogni pagina, la certezza che gli ebrei, da questa città difficile e tragica, siano sì ritornati, ma che in fondo non se ne siano mai andati. 

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