A Gaza la tregua è già rotta. E Netanyahu è tra due fuochi
mercoledì 27 marzo 2019 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 27 marzo 2019Benjamin Netanyahu ha lasciato dietro, di corsa, a Washington, il tappeto rosso e la firma storica che riconosce la sovranità di Israele sul Golan. Trump gli ha regalato la penna con cui ha firmato il riconoscimento, un portafortuna di cui Bibi ha bisogno. Appena arrivato inseguito da mille accuse è andato direttamente al Ministero della Difesa, per incontrare tutti gli esperti e i militari. Ma non ha presentato soluzioni, promesse e tantomeno tregue. Netanyahu sa che con Hamas non c'è che bloccarlo con la forza senza però cadere nella trappola degli scudi umani che Hamas usa per catturare il consenso internazionale, e aspettare la prossima puntata a meno di una strage che Bibi non vuole.
Nessuno crede dalla parte di Israele che la tregua durerà più di qualche ora: lo provano gli inviti continui di Hamas ad attaccare gli ebrei (la tv trasmette una canzone che invita a farli a pezzi), l'atmosfera di vittoria che si respira a Gaza, i preparativi presso il confine dove Hamas celebra un anno dall'inizio degli scontri con gli aquiloni incendiari. Siamo ancora agli inizi mentre invece la campagna elettorale è agli sgoccioli, e i suoi toni sono sanguinosi: da una parte molti considerano Netanyahu, primo ministro per tre volte e per undici anni, un leader indispensabile, salvatore della patria sempre in pericolo, fondatore di una economia e di una politica estera molto innovativa e redditizia; dall'altra parte invece è visto come non meno di un demonio che deve essere eliminato a tutti i costi. E così i reciproci attacchi elettorali sono micidiali, irreparabili, e non si capisce che cosa succederà se le due maggiori forze politiche, il Likud di Netanyahu e Azzurro e Bianco di Benny Gantz dovranno collaborare più avanti: le offese volate fra i due non sono offese politiche ma dichiarazioni di disgusto, di totale disistima. Lo sfondo oggi è anche l'accusa di non aver saputo difendere i cittadini dall'odio armato di Hamas, di non averlo fermato prima che colpisse ancora. Di certo Hamas battuta in tre guerre si ripresenta sempre come un'idra dalle mille teste, e di certo Netanyahu non dimentica che nell'ultima guerra ha dovuto contare 73 morti. Bibi promette una durissima risposta, ma per ora sta attento a non creare una situazione che si svilupperebbe solo in un ingresso delle truppe di terra. Gantz critica Netanyahu dall'alto della sua posizione di ex Capo di Stato Maggiore, ma sta molto attento a non perdere il voto della sinistra pacifista. Dice lo stesso di Netanyahu, ma criticandolo. Ma al di là della guerra, su cui Bibi è criticato a destra, Gantz e io suoi si sono avventurati a definire il Primo Ministro "un traditore" a causa dei sottomarini tedeschi comprati in passato, e nelle sue parole e quelle dei suoi compagni, fra cui altri due ex Capi di Stato Maggiore, si legge un risentimento, che straripa.. Dall'altra parte il Likud di cui il PM è il leader usa senza pietà l'informazione che il telefonino di Gantz è stato violato dal regime iraniano che, si sostiene, potrebbe quindi ricattarlo. E con film di propaganda si lincia il carattere incerto e poco portato alle interviste di Gantz, che balbetta e perde il filo, si direbbe spaventato, di fronte agli intervistatori tv.
Chi vincerà? I sondaggi cambiano idea ogni giorno. E' difficile che il PM voglia avventurarsi in una guerra adesso, può essere molto rischioso per il risultato elettorale; d'altra parte se non reagisce come la gente chiede, rischia di perdere voti su questo fronte. Il dilemma è grande, e non è piacevole pensare quanto il destino di un paese come Israele possa essere legato a quella di un'organizzazione terroristica come Hamas.