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2000: STRAGE DI CRONISTI LA VERITA’ VI RENDERA’ LIBERI

mercoledì 20 dicembre 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein FALCIATO davanti alla televisione con la moglie e la figlia, come è accaduto a Antonio Gomez Gomez, giornalista colombiano della radio Ecos della Sierra; oppure entrando in ufficio dal parcheggio privato, come per Jean Leopold Dominique, di Radio Haiti Inter; alla fermata dell'autobus, come è toccato al fotografo dell'Industan Time Pradeep Bathia; o senza che nessuno osi raccontare com'è accaduto, come per Sarbast Mahmud, giornalista curdo di Irbil, nel Kurdistan controllato dall'Iraq; e ancora alle nove di sera sul suo portone, come per Sergei Novikov, giornalista radiofonico di 36 anni. Così , nei loro scenari domestici, sono stati uccisi gli eroi dell'informazione del 2000, finora sessantadue. Gente normale, colleghi normali. Gli inviati che raccontano le storie dei campi di battaglia del mondo, spesso si sentono chiedere: « Non avete paura?» . Il giornalista interpellato, di solito, fa un sorriso imbarazzato. Non vuole apparire sbruffone, sa in cuor suo che ci sono molti colleghi che corrono rischi maggiori di quanti non ne corrano i testimoni dei conflitti. Fare l’ inviato di guerra è mestiere rischioso, s'intende, ma i veri eroi dell'informazione sono altri, quelli che affrontano giorno per giorno la violenza di una società dittatoriale e le minacce del terrorismo. Nella lista dei sessantadue lavoratori dell'informazione, cui si aggiungono i loro colleghi, autisti, sherpa, operatori di computer, quasi nessuno era una grande firma, un celebre fotografo di guerra come Robert Capa. C’ è il modesto redattore di una radio, il giornalista di un bimestrale. Li ha uccisi il contrasto fra informazione libera e società autoritaria: il loro eroismo è stato semplice e perfetto. Guardare a occhi aperti la malattia che invade il mondo: quando il momento in cui infili la chiave nel portone può nascondere la rappresaglia di mafie offese. In troppe nazioni ancora un potente minacciato può falciare un cronista senza neppure che « vada sul campo di battaglia» . E’ il « campo di battaglia» che ti viene ad ammazzare, quando sei un buon giornalista e la società che guardi non ti piace.

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