1967-2017 - I sei giorni che cambiarono la Storia di Israele (e molto anche la nostra)
Il Giornale, 03 giugno 2017
La Guerra dei Sei Giorni scoppiò, cinquant'anni fa, mentre ero sotto la doccia, al kibbutz Neot Mordechai proprio nell'angolo in alto al confine con la Siria. Coprendomi in corsa scappai verso il rifugio sotterraneo dove, secondo i piani, avevo il compito di tenere a bada un pollaio schiamazzante di quei bambini israeliani che ti saltano addosso, ridono sempre, non chiamano mamma ma vogliono sapere molto molto bene cosa succede. La mia famiglia mi aveva spedito in Israele perchè era stufa di quella ragazza indisciplinata, comunista, con la minigonna gialla.La guerra dette un nuovo indirizzo alla mia vita, anche se ci se ci ho messo qualche anno a capirlo. Lì per lì pensavo solo che il kibbutz era una continuazione dei miei ideali comunitari. Il mio sosteneva i Vietcong; reddito, case, vestiti, cura dei bambini.. tutto era condiviso; le auto erano quanto le dita di una mano, le famiglie si mettevano in lista per guidare verso il mercato di Kiriat Shmone, spesso bombardata dai siriani. I vetri delle vetrine erano tutti percorsi da nastri adesivi. I siriani lanciavano sovente i loro Mig sui campi che anch'io coltivavo.
Il famoso discorso del presidente Levy Eshkol che balbettò alla radio la sua ansia della distruzione definitiva del popolo ebraico che pareva profilarsi all'orizzonte ci impaurì, ma non smettemmo di vivere normalmente. La sera canti e balli, a pranzo il formaggio e i cetrioli, il sabato pollo; intanto imparavo con altri volontari il passo del leopardo. Faceva caldo.
La minaccia di una prossima distruzione aveva portato Ytzchak Rabin, allora Capo di Stato Maggiore ad una crisi depressiva: fumava a catena e non mangiava più. Si rinchiuse, poi uscì per combattere. Era pronto a inventare qualcosa di formidabile con Moshe Dayan Ministro della Difesa. Ma non capivo ancora l'ebraico e il loro tono sicuro nelle radioline gracchianti non era sufficiente. Potevamo morire tutti, fino all'ultimo: la Guerra dei Sei Giorni è stata una guerra di pura sopravvivenza, tutti gli storici, da Michael Oren a Daniel Gordis, l'hanno ricostruita come la fine preannunciata e il contrattacco vittorioso. La vittimizzazione obbligatoria dei palestinesi ha poi cambiato l'esegesi falsificandola. Il genio della storia, la sofferenza accumulata e bisognosa di riscatto, o forse il Padreterno hanno creato la vittoria del Popolo Ebraico, e certo anche i suoi problemi contemporanei. Ma il Popolo Ebraico ce l'ha fatta coi faraoni, con Hitler, e alla fine anche con Nasser e tutti i leader arabi coalizzati.
Gli ignoranti e gli odiatori di Israele immaginano una guerra di conquista, dato che poi Israele ne è uscita coi famosi "territori occupati" che in realtà sono "contestati" e appartenevano non ai palestinesi ma alla Giordania che attaccò Israele, invece che si trattò di una guerra che salvò Israele dal genocidio. I prodromi sono nella rabbia dopo la sconfitta egiziana del '56, nella necessità di Gamal Nasser, un brillante dittatore che aveva scelto lo schieramento sovietico terzomondista, di proporsi con una guerra definitiva contro l'odiato nemico sionista, come il leader assoluto del movimento panarabista che doveva consegnare all'Egitto il dominio dell'intero Medio Oriente. La scintilla fu una errata informazione dei servizi sovietici secondo cui Israele ammassava truppe sul confine siriano. Qui comincia l'escalation incontenibile di Nasser.
Entra nella penisola del Sinai con i mezzi corazzati, dichiara che è tempo di "prepararsi per la battaglia definitiva per la Palestina": e muove le truppe. 15mila uomini, 100 carri armati e l'artiglieria sovietica sono pronti nel Sinai. Il 16 maggio chiede alle forze dell'ONU di togliersi di mezzo, e U Thant scappa lasciando spazio, alla mossa definitiva, quella che anche gli americani avevano dichiarato motivo di guerra: la chiusura dello stretto di Tiran. Abba Eban, ministro degli esteri israeliano,cerca aiuto presso i francesi, gli inglesi, gli americani: tutti hanno paura dei russi.
L'accerchiamento risulta sempre più evidente. Mahmoud Zuabi, ministro dell'Informazione siriano dichiara alla radio "la nostra terra combatterà finché la Palestina verrà liberata e la presenza sionista conclusa"; Radio Cairo dice il 16 che "L'esistenza di Israele è durata troppo a lungo. Diamo il benvenuto alla battaglia lungamente attesa..in cui distruggeremo Israele" e qualche giorno dopo: "L'unico metodo che applicheremo è una guerra di totale di sterminio contro i sionisti..". Le promesse di sterminio fioccano: egiziane, siriane, irachene, giordane e a saudite: gli alleati arabi il 25 maggio muovono le truppe sui confini israeliani. Il fondatore dell'OLP Ahmed Shukairi dice: :"Valuto che nessun ebreo sopravviverà".
Rabin da ordine di scavare tombe di massa per i caduti prossimi venturi, si preparano piani di evacuazioni dei bambini sulle navi, mentre la cantante più famosa del mondo arabo Umm Khultun, rende popolare il ritornello "sgozza sgozza". Ma ecco che viene concepito con la forza della disperazione il piano strategico che salverà Israele. Eshkol stabilisce il primo Governo di unità nazionale; si riunisce in una galleria sotterranea a Tel Aviv. Domenica 4 giugno in un incontro di sette ore Dayan fa una proposta: gli egiziani hanno 100mila uomini e 900 carro armati in Sinai, la Siria ha 75mila uomini ammassati sul confine e 400 tank, i giordani ne hanno 300 e 32mila uomini. Israeli ha 246mila soldati, e 300 aerei da combattimento contro i 700 arabi.
Occorre un'invenzione strategica. Alle 7,30 di mattina del 5 giugno, mentre i piloti egiziani stanno facendo colazione, i soldati israeliani guardano attoniti dozzine di aerei che prendono il volo: duecento fighters volano a quota bassissima, solo 15 metri, per non venire intercettati dai radar. Solo dodici restano a guardia del Paese, un rischio incredibile.
L'uso della radio è vietato, l'ordine è: tacere anche in caso di estremo allarme, gettarsi in acqua se il rischio è definitivo. I giordani videro sul radar lo stormo che voleva verso l'Egitto, ma non avvertirono gli egiziani perché Nasser faceva cambiare continuamente i codici. Tutti gli aerei egiziani furono distrutti a terra, senza alzarsi in volo. Gli israeliani ne perdettero 17 e 5 piloti, e alle 10,35 a tre ore dall'inizio dell'operazione Rabin annunciò: "L'aviazione egiziana ha cessato di esistere". Il ritardo di Nasser nell'annunciare la sconfitta causò l'errore del re Hussein che volle entrare in guerra nonostante gli israeliani lo avessero pregato di non farlo, e l'insistenza siriana durò fino alla presa del Golan da parte di Israele. Io ero là, attonita, vidi la notte la battaglia sulle pendici ella montagna, le luci su quando si vinceva, giù quando arretravamo.
La riunificazione di Gerusalemme, la città dell'anima ebraica, anche se costò molto sangue a Israele, fu la grande conclusione. Dopo molte incertezze ma spinti dalla indispensabilità di una scelta storica senza la quale il popolo ebraico non sarebbe mai più stato se stesso e tutti gli ebrei a Gerusalemme sarebbero stati trucidati, i soldati di Motta Gur arrivarono a toccare le pietre sognate nei secoli e nei millenni del Muro del Tempio, increduli che questa gloria toccasse a loro: il rabbino militare Shlomo Goren con la Bibbia dovette passare lo shofar a un giovane vicino a lui, troppo commosso per riuscire a suonare.
Israele acquistò tre volte la estensione originale del suo territorio con la striscia di Gaza, il Sinai, il West Bank, unificò Gerusalemme che era stata divisa dai giordani dal 1948, e il Golan. Tutto quello che ha potuto lasciare secondo accordi appena rassicuranti, ha lasciato: il Sinai; quello che aveva catturato nell'Aravà dalla Giordania; Gaza che si è subito trasformata in una piattaforma di lancio di missili contro Israele; e con gli accordi degli anni 90 sgomberò di tutti i soldati la maggior parte del West Bank, così che ora il 98 per cento dei palestinesi è in zona amministrata dai palestinesi.
Lasciare per sempre senza controllo alcuno e senza pretendere la del militarizzazione, è una condanna a morte per migliaia di israeliani, che sono già stati investiti dal terrorismo non dalla guerra del 67, ma dagli anni 30. IL rifiuto fondamentalista nei confronti di una Stato ebraico impedisce la pace: molte volte Rabin (che proprio nel suo ultimo discorso alla Knesset spiegò che era indispensabile mantenere la valle del Giordano nella sua accezione più ampia e non dividere Gerusalemme), Ehud Barak, Ehud Olmert, e anche Netanyahu quando ha diviso Hevron hanno accertato sottrazioni territoriali, ma la verità è che ad ogni svolta decisiva si vede che come subito dopo la guerra i Palestinesi non mirano ai territori, ma alla distruzione dello Stato d'Israele, e rifiutano ogni proposta. La speranza di discutere civilmente a un tavolo e arrivare a un accordo non deve far velo all'evidenza: per ora non c'è stata una vera richiesta di spartizione da parte del mondo arabo, ma solo un rifiuto.
La guerra fu un miracolo di audacia e di inventività contro la morte certa: la sua denigrazione, la reinvenzione di una "narrativa" che la rendesse la volontaria matrigna del destino di vittime dei palestinesi, era da aspettarsi. E' comma do un'epoca che non sa vedere il valore, e che ripristina l'antisemitismo sotto forza di delegittimazione dell'ebreo collettivo, Israele. In realtà i risultati della Guerra dei Sei Giorni sono un bastione di sicurezza per Israele, mentre il mondo arabo non rinuncia al suo odio e ad ogni accordo di pace l'ha rilanciato con una campagna terrorista che ha fatto migliaia di vittime innocenti.
Un racconto emozionante e commovente , realistico nei dettagli (i bambini come un allegro pollaio è stupendo) . Complimenti , la seguirò in questo blog con tutti i suoi articoli storicamente interessanti e veri. Grazie e a presto con i suoi articoli
Sandro Chiabaudo , Torino
Un articolo molto interessante ed un racconto che sembra un film. Questo è un argomento purtroppo per me quasi ignoto.A quel tempo iniziavo, - o dovevo ancora iniziare - la carriera scolastica e non immaginavo certo né che cosa fosse una guerra né il motivo per cui in altre parti del mondo ci si dovesse scannare.Imparai l'idea ed il concetto di guerra con la frequentazione del secondo ciclo della scuola primaria, quando alle altre materie di studio si aggiunge la storia.Quanto alla Guerra dei sei giorni, ne ho solo una vaga idea che proviene dalla visione - quand'ero ragazzo - di un film "La fuga di David Lev".
karl fanelli , Como, Italia
Grazie. Impeccabile ricostruzione storica.
David Abraham , Cluj-Napoca
Anche se non ero ancora nato (sono del '69), penso a questo giorno come il secondo giorno piu bello della storia Ebraica degli ultimi 2000 anno (dopo il voto all'ONU e la Dichiarazione di Ben Gurion), un giorno del quale tutti dobbiamo essere orgogliosi. Colgo l'occasione per raccontare un aneddoto: Una volta Moses Rosen, il Rabbino Capo della Romania mi ha raccontato che, nei giorni antecedenti la guerra, le Sinagoghe Romene erano piene di persone che venivano a pregare giorno e notte per Israele, avendo sentito le promesse di Nasser alla radio. Ma non erano solo gli ebrei a venire, venivano anche molti non Ebrei, sia per solidarietà, che perché vedevano in Israele il Davide che lottava contro il Golia sostenuto dai Russi. Mi ha raccontato che dopo la vittoria aveva ricevuto migliaia di telegrammi di congratulazioni e la gente comune veniva a congratularsi con lui come se fosse stato l'Ambasciatore Israeliano in Romania e non il Rabbino capo di una comunità sopravvissuta all'Olocausto ma che aveva ancora 2-300,000 membri...
Francesco , Roma
Cara Fiamma,oggi sembra opinione comune che nel 1967 fu Israele ad attaccare i paesi arabi confinanti e non il contrario. Un obiettivo perseguito con evidente successo da una irresponsabile disinformazione. Così, ben pochi giovani possono comprendere gli eventi che hanno generato questo nostro presente.
giuseppe casarini , binasco
Brava, brava, brava!shalomggc